Cosmo-Art e figli

Quando i figli ci rifiutano

Quando i figli ci rifiutano noi restiamo sbalorditi. Ma come? Fino a ieri andava tutto così bene? Non ci siamo accorti che sono cresciuti, sono ormai adolescenti e tutto sembra cambiare.

Quando nasciamo siamo neonati piangenti, dipendenti e indifesi e abbiamo bisogno di nostra madre, lei si frappone tra noi e il mondo e soddisfa tutti i nostri bisogni dandoci un senso di profonda beatitudine. La presenza di nostra madre significa sicurezza; la paura di perderla è il primo terrore che conosciamo, questa è la prima angoscia di perdita che viviamo, dato che nell’utero il feto si sente tutt’uno con la madre, non sa di essere un’entità separata da lei.

Le prime separazioni

Lentamente impariamo a separarci. Verso i tre mesi di età comprendiamo che siamo un essere separato da nostra madre.

Ogni separazione è una crescita, che in questa fase avverrà probabilmente senza traumi, soprattutto se lei ci darà tutte le cure e l’amore necessari. Andremo al nido e all’asilo e più tardi a scuola.

Ogni volta è un piccolo strappo, un passo per allontanarci da lei e da nostro padre che nel frattempo impariamo a conoscere e ad amare. Questi due rapporti sono diversi. Mentre il rapporto con nostra madre è inizialmente viscerale e fisico, poiché basato sul bisogno che abbiamo di lei, il rapporto con nostro padre, inizia un po’ più tardi e diventa più profondo. Inizia proprio quando riusciamo a relazionarci con lui.

Complesso edipico

Continua la nostra crescita. Verso i sette-otto anni di solito viviamo il nostro rapporto edipico con i genitori. Solo se nostra madre e nostro padre sapranno far dono di sé stessi al figlio del sesso opposto, lasciandogli vivere il possesso (in senso emotivo e psicologico) in modo armonico e tranquillo, allora noi figli ci avvieremo più sereni, si fa per dire, verso il mondo dell’adolescenza.

Quando i figli ci rifiutano: accogliere il cambiamento

Ogni cambiamento implica una perdita e questo spaventa tutti perché ci porta ad un cambio di identità. Lasciamo il mondo sicuro dell’infanzia e ciò non avviene in modo indolore. Il nostro corpo cambia, non ci riconosciamo più e questo ci crea un grande disagio, non solo fisico ma anche emotivo e spirituale.

Ci chiediamo: Chi sono io? Chi sto diventando? Non solo, ma si riaffaccia prepotente la nostra ferita intrauterina, che non sappiamo decifrare né capire. Sentiamo solo un grande dolore e non ne comprendiamo l’origine. L’angoscia creata da tutto questo turbinio di cambiamenti e di emozioni ci porta a prendercela con le persone che abbiamo più vicine: i nostri genitori.

La ribellione

Iniziamo a vederli non più come esseri perfetti, ma con tutte le loro fragilità ed i loro difetti e non riusciamo ad accettarli. Questo ci sconcerta ancora di più.

Dobbiamo ricostruire tutti i nostri punti di riferimento e le nostre certezze, ma è un processo lento. Ci sembra che opporci sia l’unica cosa che ci dà sollievo. Siamo stracolmi di energia. E’ come se dovessimo distruggere tutto e tutti per poter ricostruire, per poter trovare il nostro nuovo modo di rapportarci a noi stessi, alla vita, e agli altri.

Con modalità diverse questo è accaduto a tutti noi, tutti siamo passati attraverso un periodo di contestazione e di ribellione. Quello che non sappiamo in quel momento è che, è necessario passare attraverso questo profondo travaglio, per nascere alla nostra identità, per diventare persone adulte e responsabili.

Donare le ali per crescere quando i figli ci rifiutano

A questo punto possiamo chiederci: Che cosa possiamo fare noi genitori quando i figli ci rifiutano? Che cosa possiamo fare per aiutarli a crescere?

Per prima cosa possiamo imparare ad essere umili. Ascoltiamoli, parliamoci. Cerchiamo un fil rouge che ci aiuti a capirli, a sostenerli e a contenerli, soprattutto lavorando su noi stessi.

Decidiamo di crescere con loro e capire che proprio loro possono essere anche nostri maestri di vita. Possiamo aiutarli a lenire le loro ferite, la loro rabbia, lavorando sulle nostre.

Si tratta di una lotta estenuante, a volte, ma è anche un imparare a cadere e a rialzarsi insieme, più forti e consapevoli dell’amore profondo che ci unisce. Più che mai possiamo entrare nella pratica dell’amore come dono e non come furto, perché il regalo più grande che possiamo fare loro è quello di un paio di ali per volare, anche lontani da noi. Decidiamo di fargli un dono: quello della libertà.

“Nel momento in cui accettiamo i problemi
che ci sono stati assegnati,
le porte si aprono.”
(Rumi)

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