Cosmo-Art e Senso della Vita
Saper andare oltre
Andare oltre. Chi sulla carta non vorrebbe farlo? Chi affermerebbe lapidario: “non è cosa per me!“? Eppure, quando si persiste a rappresentare se stessi esclusivamente in funzione della ferita di cui si è portatori, andare oltre sembra diventare alla prova dei fatti una meta impossibile.
Il capo che non riconosce il nostro valore, il tradimento di un amico o del partner, il giudizio solenne di un genitore, un abbandono senza possibilità di appello: tante le grandi e piccole ferite, che ognuno – nella propria, segreta vita emotiva – porta silenziosamente con sé, accatastate nel proprio cuore.
Sentirsi rifiutati, abbandonati, non visti, giudicati, traditi, non è piacevole per nessuno. Il dolore può essere talmente forte e difficile da sostenere che, per non sentirne tutta la devastante prepotenza, cerchiamo rifugio nella rabbia. Questa riempie il vuoto vertiginoso nel quale il dolore ci getta, regalandoci l’illusione di essere meno soli e impotenti. Vittime di questa allucinazione, promuoviamo la rabbia a compagna di vita. A lei, alla sua capacità reattiva ci affidiamo, cavalcando epici desideri di vendetta.
Con questa corazza difensiva quale peso opprime la nostra vita? Il risentimento, col suo carico schiacciante e paralizzante, crea un legame indissolubile con il passato, un ponte continuo con la ferita, destinata a restare perennemente aperta, sacramente sanguinante.
Oltre la rabbia
Ci serve davvero quella rabbia? È davvero lei che attesta la nostra forza? È aspettando sulla riva del fiume il momento giusto, per ripagare con la stessa moneta chi ci ha colpiti, che conquistiamo la nostra potenza? E se l’attesa lungo il fiume fosse più lunga del previsto, siamo davvero disposti a lasciar scorrere il tempo della nostra vita nell’attesa di un equo risarcimento?
La corazza di odio, l’attesa lungo il fiume hanno un prezzo salato: il sacrificio della nostra libertà, la sostanziale rinuncia alla bellezza della Vita.
Cosa c’è sull’altra sponda del fiume? Ad avere il coraggio e l’umiltà di attraversarlo, si conquista la vera forza: la capacità di spogliarsi della corazza che opprime la nostra vita e di lasciar andare il passato. Dimenticandolo, condonandolo, giustificandolo? Piuttosto integrandolo e liberandolo! Se scegliamo di fare pace con il passato, smettendo di combatterlo e inquisirlo, ci apriamo alla possibilità di trascenderne gli aspetti traumatici ed esistenzialmente invalidanti. Se scegliamo di andare oltre i no, che hanno squarciato il velo del nostro assoluto, creiamo le condizioni per appropriarci della nostra vita.
Oltre le menzogne
Può aiutare sgombrare il campo dai tanti equivoci, che ingorgano l’accesso alla strada in salita del perdono. Il perdono è forse masochismo, compiacimento e giustificazione del male altrui, il sintomo della nostra debolezza e arrendevolezza? Il perdono non è affatto sacrificio di sé, né attributo della nostra santità; non è buonismo né facoltà esclusiva della spiritualità religiosa. Il perdono è tutt’altro che roba da martiri e da anime in cerca della salvezza eterna! E’ un atto di fede nei confronti di se stessi, la chiave capace di aprire la cella in cui abbiamo rinchiuso e smarrito noi stessi, a forza di invocare e pretendere giustizia.
Ancora può aiutare sgombrare il campo dalle illusioni, che orbitano intorno al pianeta del perdono.
Nasciamo predisposti ad abitarlo? Disponibili ad esplorarlo? Molto spesso è piuttosto vero il contrario. Siamo istintivamente portati a reagire, ad impiegare la nostra intelligenza, per capire come e quando ripagare con la stessa moneta chi ci ha ferito.
L’altro ha inequivocabilmente inferto una ferita al nostro narcisismo: la pancia brontola, si aggroviglia, la mente senza tregua recrimina, la mascella nervosa si contrae, lo sguardo si indurisce, il cuore chiude i battenti a doppia mandata. E senza avere il tempo di realizzarlo, ci ritroviamo all’inferno, trascinati incessantemente dalla bufera della nostra rabbia, impantanati nella melma scivolosa dell’orgoglio ferito, completamente sommersi dalle acque della vendetta.
Una dimensione oltre il determinismo
Cosa dobbiamo trasformare? Possiamo decidere di costruire una dimensione di libertà, che ci consenta di trascendere la spinta a reagire all’offesa subita. In contatto con la nostra libertà diventa per noi possibile prendere la decisione meno semplice e immediata, la decisione più gravosa: lasciar andare il risentimento, che ci tiene incatenati al dolore, insieme al bisogno e alla pretesa di essere risarciti. La scelta più ambiziosa, che possiamo compiere dunque è quella che ci chiede di affrontare la morte di nostre parti velenose. Dell’orgoglio ferito e del vittimismo; del nostro assoluto, che ci fa credere di essere perfetti e di avere sempre ragione; della paura, che ci fa vivere l’altro come un nemico, che tornerà a colpirci ancora e poi ancora.
Uscire dall’inferno richiede la capacità di capovolgere la nostra visione della realtà, la capacità di rivoluzionare il nostro cuore e ribaltare le nostre decisioni profonde.
Assumersi il ruolo di aggressore
Per capovolgere la prospettiva da cui osserviamo le cose, dobbiamo essere disponibili ad accogliere verità non sempre comode o scontate. Collocare le responsabilità, gli attacchi, le mancanze, esclusivamente fuori di noi può essere nella pratica più semplice, ma non necessariamente funzionale alla nostra crescita come Persone né al nostro benessere esistenziale.
Possiamo costruire una verità profonda senza stanare il nostro tiranno interiore? Possiamo creare una libertà autentica senza perdonare noi stessi?
Per tutta l’infelicità che ci siamo autoinflitti. Per la sofferenza che senza accorgercene abbiamo creato, ogni volta che alla percezione della totale inadeguatezza rispetto all’immagine ideale di noi stessi, alimentata negli anni, abbiamo risposto sviluppando frustrazione, senso di fallimento, vergogna e sensi di colpa.
Oltre la colpa
Perdonare noi stessi dunque: per tutto quello che abbiamo avuto bisogno di aggredire e distruggere, per il coraggio che ci è mancato, per gli errori commessi, per le complicità malsane, per le indecisioni, per le rinunce effettuate, per le cadute, per le dolorose regressioni, per la lentezza con cui sentiamo di procedere, per le punizioni che ci siamo assegnati, al fine di espiare tutte queste imperdonabili colpe.
Se portiamo dentro di noi un tiranno, dobbiamo perdonare la nostra colpa reale, la colpa maturata nei confronti di noi stessi attraverso l’intransigenza, il giudizio furioso, la punizione accanita.
Siamo molto più della nostra colpa, infinitamente più degli attacchi ricevuti e della sofferenza, che masochisticamente ci siamo procurati.
Siamo molto più che vittime della Vita e di noi stessi. Siamo esseri spirituali, capaci di fondere il dolore con la saggezza. Siamo artisti, che realizzano la propria evoluzione a partire dalle difficoltà e dagli errori, dalle crepe profonde della propria storia. Artisti, che dalle ferite delle cadute sull’asfalto distillano il desiderio di volare oltre tutto ciò che ci spinge verso il basso, svilendo il senso del nostro viaggiare. Siamo Artisti della Vita, alchimisti e sciamani dell’anima, che decidono di volare alto, oltre gli abissi senza speranza del trauma.