La compenetrazione dell’energia della persona che entra nella materia, nella sua creazione, in quel campo di energia che prima non c’era ma che l’artista amorevolmente ha creato per se e per gli altri.
Si è conclusa domenica 6 gennaio 2008 presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna la mostra dedicata a Emilio Vedova, l’artista contemporaneo veneziano recentemente scomparso. L’esposizione ha permesso di percorrere cronologicamente tutte le tappe del cammino dell’artista. Gli esordi: disegni e dipinti dal 1936 al 1942; I pastelli 1945 – 1946; Le geometrie dal 1946 al 1950; Le opere dal 1951 al 1962; Le opere teatrali: Intolleranza ’60 e Prometeo; I plurimi e rilievi; Gli Arazzi; L’expo di Montreal; I plurimi binari; Dal ciclo dei …cosiddetti carnevali… ‘77/83; I teleri degli anni ottanta, dischi , tondi, oltre; …In continuum…compenetrazioni-traslati ‘87/88; Bozzetti per uno spazio; Chi brucia un libro brucia un uomo. Mi avvicino alle prime opere che inizialmente nitide, mi fanno rimanere ferma sulla figura, come attenta osservatrice, ma che da subito, eliminati i confini tra le figure e lo spazio, mi invitano a ricercare altrove il loro messaggio, mi affido così all’artista che ci dona la sua arte. Mi sento di fronte alle opere di un esploratore, un ricercatore di esperimenti, di materie diverse che unite tra loro possono rendere ancora meglio il messaggio e il risultato finale.
Un rimescolamento di colore, luce, ombre, linee, che man mano perdono le proprie funzioni iniziali per aprirsi verso nuove forme e nuovi significati. Vedo l’artista che entra nei suoi materiali e nelle sue tecniche; una foto lo ritrae nella realizzazione di un’opera, il colore nelle sue mani, che sta per essere impresso sulla superficie da lui scelta, sembra che gli appartenga, lo fa suo prima di lasciarlo andare nell’opera che realizzerà. Un contatto ancora più profondo lo sento durante la visione delle riprese realizzate nell’esecuzione delle lastrine di vetro necessarie al compimento di un opera ancora più grande creata grazie alla collaborazione tra Emilio Vedova e l’amico compositore Luigi Nono. Il colore colato nel vetro prima della cottura, il modellamento, l’attenzione e la dolcezza mi fanno sentire una morbidezza e una cura che mi ha fatto richiamare alla mente un padre che con la massima delicatezza, ma contemporaneamente con la forza e la saggezza del maschile, si prende cura di un figlio, del suo progetto. Vedova dà vita ad un vetro che diventa il contenitore del colore, donandogli protezione per la durata eterna.
Alle stesso modo l’opera d’arte dona all’artista il potere dell’immortalità in quanto contenitore della sua anima. Percepisco nelle opere di Vedova la sua forza e la sua determinazione trasferita nei molteplici materiali da lui utilizzati e nella sua ricerca continua volendo creare la sua opera d’arte: la compenetrazione dell’energia della persona che entra nella materia, nella sua creazione, in quel campo di energia che prima non c’era ma che l’artista amorevolmente ha creato per se e per gli altri. “Le opere d’arte sono tali perché hanno un’anima; e hanno un’anima perché gli artisti che le hanno create attraverso un doloroso e ingegnoso processo di materializzazione e smaterializzazione, sono stati capaci di infondere in esse un’energia che prima non avevano” (Gli Ulissidi – Antonio Mercurio- edizione S.U.R. 1997) Oggi sono qui a descrivere un’emozione data da un momento sapendo però che lo stesso, grazie all’opera, potrà essere infinito e potrà ripetersi per me, per altri, e poi per altri ancora, anche se l’artista non è più in vita e permettendo a tutti di conoscere e vivere l’emozione dell’opera e della bellezza che esse contengono.