La sindrome dell’impostore
Come essere Artisti della propria Vita
Non riesci ad accettare un complimento? Ti senti un bluff? Sei convinto che da un momento all’altro, qualcuno potrebbe smascherarti? Benvenuto al circolo segreto dei competenti insicuri, titolava la prestigiosa rivista Scientific American.
E a sentirsi una specie di truffatore, una montatura che potrebbe crollare da un momento all’altro, sono in tantissimi. Singolare anche la storia pubblicata dalla rivista Le Scienze: una studentessa di matematica, per aver superato tanto brillantemente un esame, riceve la prestigiosa proposta di scrivere addirittura una Tesi di Dottorato. Ma – incredibilmente – la rifiuta! Queste le sue considerazioni: «Davvero buona l’esaminatrice: mi ha chiesto solo cose facili. Sono stata fortunata. Adesso mi guarderò bene dal discutere con lei di questioni davvero professionali. Altrimenti si accorgerà che ho bluffato, e scoprirà tutto quello che non so».
“La considerazione esagerata in cui viene tenuto tutto il mio lavoro, mi mette a disagio e talvolta mi fa sentire un imbroglione, anche se involontario”. Albert Einstein
Sembra strano: ma uno dei più grandi premi Nobel per la Fisica – anche lui – soffriva della cosiddetta sindrome dell’impostore.
La sindrome dell’impostore è universale
Le ricerche scientifiche sostengono questi pensieri sono pressochè universali e che almeno il 70% del campione ha provato sentimenti simili, almeno una volta nella vita. In altre parole, si sente così chi, avendo ottenuto ampi e ripetuti riconoscimenti del proprio valore e una (meritata) dose di successo, di quel successo si sente indegno o immeritevole, e continua a sentirsi così nonostante ogni oggettiva evidenza contraria.
Ma la lista dei presunti impostori è davvero lunghissima:
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«Io non sono uno scrittore, ho ingannato me stesso e gli altri» – John Steinbeck, premio Nobel per la Letteratura.
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«Ma è possibile che la gente abbia ancora voglia di venire a vedermi in un film. E comunque io non so recitare. Che ci faccio qui?» – Meryl Streep, 3 premi Oscar.
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«Pensavo fosse uno scherzo e che tutti lo sapessero, tranne me. Ero convinta che sarebbero venuti a casa mia, avrebbero bussato e mi avrebbero detto ‘Ci scusi, abbiamo scherzato, l’Oscar che le abbiamo dato in realtà è per Meryl Streep» – Jodie Foster, due Oscar.
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«Ci sono ancora dei giorni in cui mi sveglio e penso di essere una mezza truffa. Non sono sicura di meritarmi di stare dove sto» – Sheryl Sandberg, Direttrice operativa di Facebook ed ex capo dello staff alla Casa Bianca ai tempi di Clinton.
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«Senti di non meritare il successo ottenuto, che i traguardi raggiunti sono il frutto della fortuna o della situazione “nel posto giusto al momento giusto”, invece che del tuo talento, oppure ci si sente un imbroglione che alla fine si rivelerà essere incompetente» – Alexandra Levit, consulente di Barack Obama.
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Alla domanda su come si sentisse ad essere un simbolo di speranza: «Ho ancora una piccola sindrome d’impostore, non se ne va mai, anche ora che mi state ascoltando. Non va via, quella sensazione che non dovreste prendermi sul serio» – Michelle Obama, First Lady 2009-2017, agli studenti del G20.
E potremmo continuare a lungo. Secondo le interessanti interviste condotte dalla BBC, soffrono della sindrome dell’impostore – strano a dirsi – proprio le persone più competenti in tutti i settori: impiegati, imprenditori, scrittori e musicisti, uomini d’affari, professionisti, in generale persone che hanno avuto (un qualche tipo di) successo nella vita (non necessariamente nella carriera professionale), che hanno realizzato sogni ritenuti impossibili, oppure che sono sopravvissuti o si sono salvati da un qualche tipo di condizione disagevole iniziale. Ad esempio, sono stati i primi in famiglia a frequentare l’università, oppure sono sopravvissuti ad un parto gemellare dove i fratelli non ce l’hanno fatta, sono guariti da una malattia ritenuta inguaribile o fortemente invalidante, hanno lasciato il proprio paese natìo e hanno costruito una famiglia altrove, o anche semplicemente hanno compiuto scelte diverse da quelle che la propria famiglia di origine considerava adeguate o necessarie, hanno seguito il proprio intuito, la propria vocazione, ecc. ecc.
Sindrome dell’impostore: difficile esserne immuni
Il meccanismo è simile anche in amore: per esempio quando qualcuno si ritiene così fortunato di avere un certo partner da non capire come mai una persona del genere, così dotata (di bellezza, capacità, risorse, etc) possa stare con lei! In generale, aver conseguito un qualche tipo di successo, nell’amore, negli affari, o in generale nella vita, aver lasciato indietro la propria famiglia di origine, i propri fratelli o sorelle, non aver condiviso il loro destino (soprattutto se doloroso), se ci si accorge di essersi salvati ma che non si possono salvare le persone che amiamo, è difficile essere immuni dalla sindrome dell’impostore.
La sindrome dell’impostore: la paura delle persone capaci
Ne possiamo descrivere tre declinazioni, ma che sostanzialmente ruotano tutte attorno alla medesima radice.
1) Sono un imbroglione. La paura fondamentale è quella di essere scoperti o smascherati. Come dire… “è andata bene fino ad ora… ma prima o poi, la copertura salterà“.
2) Sono stato fortunato. In questa declinazione, il pensiero sottostante è quello di non essere nè bravi, nè talentuosi o di avere alcunché di speciale. Ma che il successo è arrivato soltanto grazie alla fortuna, al fato mutevole, oppure grazie all’impegno e al lavoro duro, inclemente e improbo.
3) Non è nulla di importante. Questa declinazione ha a che fare con la falsa modestia di chi stenta ad accettare un complimento o un riconoscimento. Quando il complimento arriva, si tende a pensare che sia immeritato, falso, oppure l’inizio di una manipolazione ai propri danni (What are you after? – “Cosa vuoi dopo?” – dicono gli inglesi).
La sindrome dell’impostore è un autosabotaggio
Le cause profonde di questa sindrome risiedono:
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in una diffusa cultura dell’apparenza, della competizione sfrenata e del successo a tutti i costi
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nell’ipercritica
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nell’Ideale dell’Io e nel Perfezionismo esasperato
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in un forte e malinteso senso del dovere
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nella terrificante paura di essere giudicati negativamente (di solito perchè – consciamente o inconsciamente – si giudica molto gli altri)
La sindrome dell’impostore alla luce della Cosmo-Art
L’incapacità di meritarsi di stare bene, di essere felici, di ricevere dei complimenti o di godere dei propri successi può essere vista alla luce di quello che la Cosmo-Art chiama l’incesto intrauterino. In altre parole, la deliberata volontà di una parte dell’Io (in questo caso, l’Io-Fetale) di NON separarsi dall’utero. Ma anzi, di essere complici di un progetto di non-vita. La colpa reale, in questo caso, è quella di violare una delle fondamentali Leggi della Vita, le quali affermano che ogni individuo deve separarsi dall’utero e affrontare le sfide della propria esistenza. Quando invece, al contrario, una parte di noi tende a voler rimanere fedele ad un progetto autosabotante di non realizzazione (che in taluni casi, potrebbe essere ad esempio: rimanere obbligatoriamente abbarbicati alla città di origine, condividere obbligatoriamente il medesimo destino dei propri fratelli, non-nascere alla propria realizzazione, non seguire la propria vocazione), queste sono tutte colpe reali: modi di esprimere odio per se stessi. E in queste condizioni, come si fa a stare bene? Come si fa a pensare di meritarsi la felicità?
La Storia ci conferma che Albert Einstein non ha affatto condiviso il destino dei suoi 5 fratelli, nè che loro fossero ugualmente dotati del suo talento. Egli ha realizzato un sogno ritenuto impossibile (decisamente!), e potremmo immaginare che il suo Io-Fetale, lo abbia fatto sentire in colpa per questo tradimento. Sentirsi imbroglione quindi, più profondamente alla luce della Cosmo-Art, significa sciogliere (o anche solo tentare di sciogliere) l’incesto intrauterino, significa aver imbrogliato nel patto di fedeltà all’utero originario.
Il dialogo interno paradossale potrebbe essere: “… avrei dovuto esserti fedele e quindi scegliere di non-vivere, di non-realizzarmi. E invece purtroppo ho tradito quel patto. Purtroppo mi sono realizzato (oppure, ci sto provando). Mi sono maledettamente incaponito a seguire la mia vocazione, il mio progetto esistenziale, la mia missione nel mondo (oppure, ci sto provando). Nel fare questo – purtroppo – non ho condiviso il triste destino della mia famiglia di origine, nel fare questo … mi sono salvato senza poter salvare nessun altro, oltre che me stesso. Il mio dolore per chi non si è salvato (o voluto salvare) e il mio senso di colpa mi dicono che sono un imbroglione… e prima o poi qualcuno … scoprirà che sono un bluff“.
In quella che probabilmente è una delle scene più famose del cinema di Massimo Troisi nel film “Ricomincio da Tre“, Geatano (il regista) incontra Robertino. L’attore Renato Scarpa recita un attempato Peter-Pan, un giovanotto mai cresciuto, che per non abbandonare le certezze del mondo materno, ha finito per non esplorare il mondo.
– Gaetano: “.. Robè, tu devi uscire da qui. Tu ti devi salvare. Ti hanno chiuso in questo museo … Robè … vai in mezzo alla strada … tocca è femmene … vai a robà .. fai chèllo che voi basta che esci da qui…“.– Robertino: “.. Ma mammina dice …”– Gaetano: “.. Mammina te manna ‘o manicomio a te…”
Robertino è la maschera simbolica di chi rimane fedele all’incesto intrauterino e al patto di non-crescita. Chi rimane Robertino per tutta vita, avrà la certezza di non doversi mai sentire un impostore. Visto con gli occhi della Cosmo-Art, l’impostore è il Robertino che avremmo potuto essere, e che invece, non siamo stati. Non lo sono stati neppure Meryl Streep, Michelle Obama o Albert Einstein perchè hanno deciso di realizzare se stessi.
Vivere la propria vita come un’opera d’arte è il contrario del sentirsi un impostore. Chi decide di seguire l’Artista interiore sa che deve fare una sintesi, andare oltre il senso di colpa, e mettersi in ascolto profondo con il progetto d’amore del proprio Sè. Le sfide dell’autorealizzazione sono esattamente quelle di saper elaborare il senso di colpa per l’ipotetico tradimento, e malgrado tutto, radicarsi nel proprio progetto vocazionale. Chi decide di essere un artista dell’esistenza, sa che i colori della propria tavolozza potranno rivelarsi variegati, eterogenei, a volte perfino contraddittori. Malgrado ciò, il fine è quello di creare un’opera d’arte con tutti questi colori, nessuno escluso: bluff compreso.
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