La fatica di liberarsi dagli stereotipi sulla maternità

Sono diventata mamma da 7 mesi. O meglio, forse dovrei dire 7+ 9 della gravidanza… Eh si, perché mio figlio, prima ancora che il bambino in carne ed ossa (…a dirla tutta più carne che ossa…) che oggi stringo tra le braccia, è stato un pensiero, un’idea che si è fatta strada e ha preso pian piano forma nella mia mente. Ancora ricordo quella mattina del 25 gennaio 2011 nella quale ho fatto il test di gravidanza. Seduta per terra sulle vecchie mattonelle verdi del bagno…il mio compagno sulla tavoletta del water con lo stick in mano…”diventerai mamma!”…ma chi?…io?…oddio! ma io scherzavo quando ci pensavo!…e ora?!?…qui non si torna mica indietro…. Qualche giorno solo per rendermi conto che era proprio tutto vero. Di notte, nei momenti di dormiveglia, ancora ricordo la sensazione di non capire se si trattasse di una cosa che riguardava proprio me, la mia vita, il mio futuro…da qui all’eternità! I sentimenti in ordine erano: incredulità, paura, sbigottimento, sensi di inadeguatezza, domande sul da farsi in uno scenario completamente annebbiato.
Dopo l’attecchimento biologico, che oramai era già avvenuto, iniziava il laborioso ‘attecchimento psicologico’.

Non più io sola per il mondo ma: io e questo semino di vita dentro di me. Non più “vivo la vita alla giornata” ma: “voglio capire cosa è meglio fare per il mio benessere e quello del bimbo che cresce in me”. Un adattamento della mia identità ad una nuova situazione di vita come mai prima avevo dovuto affrontare! Per quanto si sia desiderato un figlio con ardore e convinzione, credo che questo passaggio sia davvero imprescindibile per chiunque. La vita ci chiede con forza in una tale situazione di plasmarci e ri-partorire noi stessi ad ogni nuovo passaggio: la scoperta di aspettare un figlio prima, poi la sua nascita, poi le prime separazioni, la scuola, ecc. ecc. Il mio personale avvio di maternità non è stato tra i più semplici. Già in ospedale, dopo le fatiche fisiche ma soprattutto emotive del parto, sono stata colta da un senso di smarrimento, paura e debilitazione che non mi aspettavo. Tra letture, corsi, opinioni altrui ma soprattutto persa in un immaginario tutto mio di maternità come perfezione e capacità scontata di adattamento e dedizione totali…sono andata in TILT! La cosa che più mi provocava malessere era il giudizio interiore implacabile per il fatto che io non riuscissi ad essere sempre sorridente, gioiosa, appagata e beatamente serena con il mio nuovo ‘frugoletto’ tra le braccia.

Si è ingaggiata una feroce lotta interiore tra quell’ideale di brava madre, costruito tutto nella mia mente e alimentato da immaginario collettivo e luoghi comuni, e la vera Tiziana: una bambina che diventa improvvisamente donna, che ha partorito un figlio e con una responsabilità grandissima, inaspettata e soverchiante. Questo stato d’animo mi ha accompagnato per i primi mesi del percorso. Sento che avevo perso il contatto profondo con me stessa. Troppe paure, tante fragilità, nessuno spazio residuo per accoglierle. E ad un certo punto ho capito che dovevo ‘mollare’…se volevo riprendermi e andare avanti con gioia e serenità non mi rimaneva che accogliere le sensazioni meno piacevoli, accettarmi con tutte le mie ‘sfumature’ del momento, integrare quelle ombre così spaventose e inaccettabili. Oggi sento che questa è stata la più grande lezione della mia vita. Non che sia finita così…sono certa che mio figlio è la più grande occasione per imparare ad amare me stessa, le mie fragilità, il mio non essere perfetta (…perfetta secondo chi?…), il mio tentare di fare il meglio che posso ogni volta! Sento che la mia posizione di auto-accettazione e sincerità profonda sono la più grande prova di amore che lui potrà mai ricevere.

Inseguire una perfezione ideale, peraltro inesistente e impraticabile per un essere umano quale una madre è e resta, crea disagio e distanza nella relazione che quotidianamente si costruisce con un figlio.

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