ragazzi smartphone

Come cambiano gli adolescenti.

Stinger, nome in codice di un dodicenne che si sfoga su un forum per adolescenti: «Ho preso tutti 7 e 8 in pagella, come possono i miei non comprarmi il Nintendo con la scusa che non ci sono soldi? Sono inc…». Comprensibile. Stinger, come una moltitudine di teenager italiani investiti loro malgrado dalla crisi che lima le buste paga di mamma e papà, per la prima volta fa i conti con un rifiuto. Ma la vera sorpresa arriva dalle risposte dei coetanei. Eccone una: «Credo ke i tuoi lo fanno per farti capire il valore dei soldi». Un’altra: «La vita è fatta anche di rinunce… non sempre si può avere ciò ke farebbe piacere». Oppure: «Ti serve proprio un Nintendo? Se vuoi un consiglio… fatti comprare cose utili, no cazzate». Rinunce? Valore dei soldi? Forse la generazione del “tutto e subito”, nata due decenni fa e cresciuta a pane e shopping, sta scoprendo che non basta più passare l’interrogazione di storia o sparecchiare la tavola una tantum per togliersi qualsiasi sfizio.

Le conseguenze sono singolari: da un lato l’incredulità per non riuscire a convincere mami e papi che comprare difilato l’ultimo iPod è la sintesi naturale dell’essere buoni genitori; dall’altro la spinta a sognare, facoltà finora preclusa causa somministrazione di regali a getto continuo che priva del piacere dell’attesa, della lenta marcia di avvicinamento alla soddisfazione di un desiderio. E l’Italia più attenta ha cominciato a chiedersi se la recessione non sia un’opportunità per invertire la rotta dei ragazzi e alzare l’asticella degli obiettivi. Nessuno vuole tornare agli stenti vagheggiati dai nostalgici di quando i bambini ricevevano arance per Natale. La speranza è, al contrario, di imparare a tenere in equilibrio benessere materiale e spirituale. «Insomma, mettere in condizione i ragazzi di desiderare qualcosa, finalmente» sintetizza Marida Lombardo Pijola, giornalista de Il Messaggero e autrice di libri che raccontano l’adolescenza drammatica dei teenager lacerati fra aridità interiore e fame d’amore. «Forse l’aspetto positivo di questo periodaccio sta proprio nella possibilità che i nostri figli, che assorbono l’ansia e la paura, possano imparare i sacrifici, rendersi conto che la vita non è un reality show e soprattutto allontanarsi dall’idea di genitori-portafogli favorita da madri e padri alla ricerca di un consenso facile». Gli oggetti c’entrano fino a un certo punto. Aspettare mesi invece di giorni per avere il telefonino nuovo può fare la differenza. E se poi l’esercizio alla pazienza sfociasse nella scoperta della magia del corteggiamento, pratica che gli adolescenti ignorano del tutto, disabituati come sono a qualsiasi “no”? E se l’addestramento ai sogni aiutasse ad avviare la rivoluzione dei costumi?

«Troppo presto per dirlo dati alla mano: le indagini sono a livello empirico» precisa Fausta Ongaro dell’Università di Scienze statistiche di Padova, esperta di strutture familiari e giovani. «Ma un’inversione di tendenza è auspicabile. Una larga fetta di genitori italiani, doppio reddito e età fra i 40 e i 50, negli ultimi decenni ha portato all’esasperazione comportamenti di sudditanza verso i figli. Con il rischio di deresponsabilizzarli e ritardarne la maturità». Nel mercato il processo è partito: la crisi dei consumi, che investe in maniera massiccia proprio quella (ex) borghesia di (ex) benestanti formata da impiegati, insegnanti di provincia e liberi professionisti a medio reddito, si riflette in un calo di vendite degli articoli destinati ai giovanissimi, con il risultato che il regalo non arriva più una volta a settimana. E in que st’allungamento di tempi si coltiva il desiderio, che induce a discernere fra utile e superfluo. Proprio come deve aver sperimentato il nostro dodicenne Stinger, che magari a quest’ora starà smanettando col suo nuovo Nintendo, per il quale però avrà dovuto attendere qualche settimana. Un’eternità, solo fino a ieri. Ma che oggi fa dire a Mixa94, su un forum under 18: «Ragazze ke favola! Tre mesi di lotte per strappare l’iPod ai miei e adesso ce l’ho! Mai desiderato tanto una cosa in vita mia… sono stramega felice».

“Sogno, quindi sono”. Possibile, ma niente affatto scontato. Il rischio che l’impoverimento materiale non si traduca in un arricchimento culturale è concreto, avverte Nicola Lusuardi, sceneggiatore di fiction tv (l’ultima è Puccini) e osservatore obbligato della realtà da convertire in narrativa audiovisiva. «Perché non basta sfruttare il fatto che i giovani abbiano meno motorini per riappropriarsi del sogno, se poi questo non viene elaborato collettivamente. In America ci stanno provando. La scommessa di Obama, che invita a stringere i denti promettendo che al sacrificio di tutti corrisponderà un mondo più pulito e giusto, è lontana anni luce dalla dinamiche italiane» dove “I have a dream” si traduce ancora nelle code in tabaccheria per tentare il colpaccio al superenalotto. «È il classico bivio» conclude Lusuardi. «Da un lato una teorica rinascenza di valori, dall’altro la possibilità che la recessione spinga verso un’ulteriore deriva balcanica dei rapporti». La palla passa agli adulti. Pensiamoci: cosa accade se obblighiamo i ragazzi a tirare la cinghia e intanto continuiamo a coltivare in loro l’ambizione massima di diventare miliardari o sposarne uno?

Fonte: www.corriere.it – 27/03/2009

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