insoddisfazione

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Insoddisfazione: cosa bolle in pentola?

persona Lungo il nostro cammino esistenziale, l’insoddisfazione può a più riprese entrare a far parte del nostro mondo interiore. Capita nella vita di noi esseri umani di sentirsi scarichi, scontenti, inermi prede dell’insoddisfazione. Capita di sentirsi pervasi e sovrastati da una sensazione di mancata realizzazione; in alcuni casi persino di fallimento. Proviamo delusione, frustrazione e finiamo con il mettere in discussione il nostro valore personale. Tutto ciò senza che necessariamente sia intervenuto nella nostra esistenza un cambiamento traumatico, a stravolgere una situazione di raggiunti equilibrio e appagamento. L’insoddisfazione può in alcuni casi diventare una posizione interiore cristallizzata, nella quale cullarsi e commiserarsi; se non fosse che essa condiziona profondamente il nostro benessere, impedendoci di godere persino delle note più positive della nostra vita. La condizione insoddisfacente che percepiamo può dipendere da una vasta gamma di fattori; può derivare da aspettative eccessivamente elevate, da pretese radicate, da un ideale di perfezione esasperato, da forme di vittimismo serpeggiante, nonché da una profonda avidità. Sono questi veleni esistenziali ad inquinare la percezione, che abbiamo di noi stessi e della nostra realtà, condannandoci alla recriminazione e all’infelicità. Ecco che permanere a lungo in uno stato di insoddisfazione, senza lavorare interiormente, per smantellare la menzogna esistenziale che lo sostiene, è una forma di odio per se stessi, un modo come un altro per farsi del male.

L’insoddisfazione e i sensi di colpa

Anche i sensi di colpa – che ne abbiamo o meno consapevolezza – creano un terreno fertile per l’insoddisfazione. Possiamo sentirci colpevoli per i motivi più disparati: per aver provato sentimenti negativi come l’invidia e la rabbia; per aver agito in maniera distruttiva nei confronti di noi stessi e degli altri; per aver odiato chi ci ha fatto del male; per esserci rifiutati di essere come gli altri ci volevano; persino per aver ottenuto un tanto anelato successo personale. È essenzialmente l’esistenza di una parte oscura e per lo più sconosciuta di noi, a farci sentire brutti e cattivi. Sono la nostra violenza, la nostra cattiveria, il nostro odio, tutta la nostra zona d’ombra – che ci ostiniamo a negare e a non voler vedere – a tormentarci e a farci sentire portatori di una colpa. Ma se ci sentiamo così – colpevoli e immeritevoli di bene – finiremo con il decidere in maniera più o meno conscia di punire noi stessi. I sensi di colpa non servono in alcun modo a modificare i sentimenti negativi, che ci portiamo dentro. I sensi di colpa non servono a purificarci, a renderci migliori; servono soltanto a rovinarci la vita, condizionandola attraverso i più ricercati autosabotaggi. Abbiamo sentimenti negativi, è vero! Possiamo decidere di vederli, accettare che esistano e perdonarci per essi. Ma siamo anche in grado di nutrire sentimenti positivi! Possiamo quindi decidere di lasciar morire i nostri sensi di colpa, per scegliere una modalità costruttiva di approcciarci alla nostra stanza più buia. Possiamo verosimilmente riparare quanto abbiamo distrutto dentro e fuori di noi; ad esempio il rapporto che abbiamo compromesso con noi stessi, con gli altri e con la Vita. Possiamo riparare, alimentando sentimenti e fantasie di amore, prendendo decisioni di amore, realizzando atti costruttivi e creativi. Se impareremo a prenderci cura amorevolmente di come rimediare alla nostra oscurità, se impareremo a preoccuparci di come accendere una luce a rischiarare quel buio, allora non avremo più bisogno di sentirci in colpa; non avremo più bisogno, per espiare una qualche colpa, di giudicare negativamente tutto ciò che ci riguarda – dal nostro aspetto esteriore, al nostro livello culturale, a quanto abbiamo fin qui realizzato – al solo scopo di infliggerci il supplizio di una vita da insoddisfatti cronici. Se apprenderemo l’arte del perdono e della riparazione, certi mezzucci intrisi di masochismo non ci serviranno davvero più. Provare per credere!

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