Chiave di lettura del film ‘La fabbrica di cioccolato’
Il film ‘La fabbrica di cioccolato’ descrive uno spaccato dell’umanità con i suoi bisogni sfrenati e la sua avidità; narra la logica del furto della prevaricazione e dell’invidia; narra quanta bellezza ci riserva la vita e quanta invece fame d’amore la distrugge e ci fa essere soli, avidi e sempre più vuoti; narra anche quante capacità di amore ci sono dentro l’essere umano, capacità di esplorare lungo sentieri insoliti, traiettorie inusuali e impossibili agli occhi della logica e della razionalità, per scoprire come si ottiene il pieno della vita, come si coltiva un cuore pieno di amore, di gratitudine e di pace.
Il film racconta la storia dell’eccentrico Willy Wonka e di Charlie, un bambino povero che vive all’ombra della straordinaria fabbrica di cioccolato di Willy. Quest’ultimo ha bisogno di un erede e lancia un concorso mondiale grazie al quale cinque fortunati bambini di tutto il mondo potranno entrare per un giorno nella sua fabbrica. Per entrare nella Fabbrica bisogna trovare uno dei cinque Golden Ticket nascosti in altrettante confezioni di cioccolato Wonka. Inoltre, uno dei cinque bambini avrà la fortuna di ricevere un premio speciale. Charlie Bucket, affascinato e sbalordito, è così catapultato nel fantastico mondo di Wonka, in questa meravigliosa e incredibile storia. Ed è tra le righe di questa affascinante avventura che vi invitiamo a riflettere sul tema della fame d’amore come il vuoto incolmabile e l’avidità che impera nel nostro cuore e trovare le strategie per riempire il vuoto e fare un pieno d’amore, del nostro amore per noi stessi. Il pieno viene descritto nel film dalla favolosa fabbrica di cioccolato. Oltre alla maestosità della fabbrica essa contiene mille tesori dolcissimi. Willy infatti è un maestro pasticcere raffinato e geniale che riesce ad inventare e produrre tutte le golosità per il corpo e per lo spirito. La fabbrica diventa così l’emblema del pieno, della ricchezza e della Bellezza della Vita. La fabbrica è anche una metafora del corpo della madre che per la fantasia infantile è ricco di tanti tesori. Il film ci invita a riflettere su questa bellezza, su quanto ne abbiamo bisogno e sulle modalità che utilizziamo per raggiungerla, per comprarla – e quando questo non è possibile – anche a rubarla. Ma questa invece è una bellezza che va creata con l’agire artistico e la guida di un progetto profondo. Il film descrive anche il vuoto attraverso l’agire avido di alcuni personaggi: la fame di amore diventa voracità insaziabile che tutto vuole, senza esserne mai soddisfatto, e di conseguenza tutto distrugge.
La Fabbrica di cioccolato e i bambini ovvero La madre e il bambino
Nello sviluppo psicologico del neonato, la madre – ed in particolare il seno – non sono oggetti puramente fisici. “L’insieme dei desideri istintuali e delle fantasie inconsce fanno sì che al seno vengano attribuite delle qualità che vanno ben oltre il nutrimento che esso in realtà fornisce”. Questa speciale fonte di nutrimento è originalmente caricata di significati che sono di natura psicologica e fanno riferimento alla sua capacità di calmare il vuoto e la fame, ma anche la paura e l’angoscia. Il seno diventa così “il prototipo della bontà materna, della sua inesauribile pazienza e generosità, come pure della sua creatività”. Nel neonato infatti, il benessere giunge soprattutto attraverso la propria bocca: la funzione di introdurre e introiettare diventano i corrispettivi psicologici del processo dell’alimentazione. Introdurre qualcosa di buono dentro di sé aumenta il senso di benessere interno. Con l’introiezione, l’individuo si assicura che le cose buone permangano dentro di sé, garantendogli un agognato senso di sicurezza e stabilità. Inoltre, ottenere e introiettare cose buone (beni materiali, doti mentali o fisiche, privilegi sociali, ecc.) si trasforma nella convinzione e nella dimostrazione che noi stessi siamo buoni, e perciò degni d’amore, rispetto, stima e considerazione. Le cose buone introiettate forniscono il carburante dell’autostima e l’ossatura di una buona capacità di affrontare l’esistenza. Senza di esse non avremmo protezione contro le nostre paure del vuoto interno, all’angoscia provocata dalle nostre zone oscure o – ancora meglio – dalle nostre pulsioni aggressive e di odio. In questo senso, una certa dose di bisogno di introiettare cose buone è fisiologicamente positiva e funzionale ad un buon impulso vitale. Nella fantasia del bambino quindi, il seno rappresenta l’intera madre, colma di ricchezze inesauribili, il quale genera nel futuro adulto, il fondamento della speranza, della fiducia e della bontà. La Fabbrica di cioccolato è quindi una metafora dell’idealizzazione del corpo della madre e delle sue ricchezze che spengono ogni fame, ogni bisogno, ogni angoscia. L’idealizzazione della madre, la sua fantasticata perfezione e le sue infinite ricchezze, poiché sono elementi dello sviluppo psicologico del bambino, sono universalmente presenti e fanno parte del patrimonio culturale di molte civiltà. Nei miti e nelle religioni, i paradisi delle varie culture sono descritti invariabilmente come luoghi ricchi di ogni bene dove i bisogni sono definitivamente placati e saziati. E’ la promessa di Dio al popolo in fuga dall’Egitto: “… una terra stillante latte e miele…” (Es. 33, 3), “… ricca di fonti e acque zampillanti e dove l’uomo non avrà il pane misurato…” (Deut. 8, 7-9). Ma anche la Janna del Corano viene descritta come “… un giardino dai frutti perenni” (versetto 35 della XIII Sura). E perfino il Nirvana per i Buddisti è “lo stato ove si ottiene la liberazione dal dolore” e per gli Induisti è il luogo che “impedisce l’attizzarsi della fiamma del bisogno”. Nel film vediamo come il contrasto tra la povertà di Charlie e la maestosità della fabbrica ben rappresentano il sentire del bambino, piccolo e bisognoso, di fronte alla madre piena di tutti i tesori.
La fame d’amore ovvero La ferita narcisistica
Spesso accade che le attese d’amore del bambino siano frustrate. Si produce così una ferita narcisistica, spesso di origine traumatica. Essa è la conseguenza della deprivazione di un pieno che l’Io fetale o l’Io infantile avrebbero dovuto esperire nella fase prenatale e in quella orale, e che invece ritengono di non aver esperito. Ma la ferita narcisistica non è solo frutto di una deprivazione: essa è anche conseguenza del fatto che l’Io ritiene di aver subito una grave ingiustizia a danno dei suoi bisogni biologici, psichici ed esistenziali. Il sentimento di questa ingiustizia, invece che portare al bisogno di una sana riparazione porta piuttosto al bisogno di vendetta”. Questa ingiustizia, inoltre, può porre le basi nell’adulto, per lo sviluppo del sentimento dell’invidia, poiché il bambino sperimenta che la gratificazione di cui è stato privato rappresenta qualcosa di buono che il seno ha tenuto per sé, che gli apparterrebbe ma che il seno non ha voluto concedere. In altre parole, la ferita narcisistica del bambino è fondata sulla fantasia che la madre è ricca di meravigliose bontà (che non ha elargito), mentre la propria fame gli segnala che lui è invece vuoto, in preda all’angoscia e probabilmente anche cattivo. Questa mancata distribuzione di bontà – che il bambino ritiene che gli appartengano di diritto – genera invidia, bisogno di vendetta, avidità e una cultura fondata sul furto (idealmente riparatore di un furto che si è precedentemente subito).
Le conseguenze della Fame d’Amore
Nel film ci vengono descritti i due possibili percorsi di fronte alla fame di amore che si struttura in seguito a questa ferita narcisistica.
Avidità e Invidia
Un primo percorso è indicato dalla descrizione dei furti che Willy Wonka subisce nella fabbrica. Gli avversari e concorrenti di Willy, invidiosi della bontà della sua cioccolata, assoldano delle spie al fine di rubare i segreti della fabbrica. Se come individui rimaniamo fissati alla nostra ferita narcisistica, essa ci suggerisce inconsciamente di aver subito il furto delle bontà che la madre avrebbe dovuto concederci per diritto di nascita, ma che invece non ha voluto donare. Quando poi la nostra avidità ci rammenta che altri posseggono ciò che a noi manca, ecco che il nostro senso di sicurezza interiore viene messo in pericolo. Le cose dell’Altro diventano così un’inconscia minaccia (“possiedo troppo poco”, “come lui, anche io dovrei possedere di più”, …ecc.). La difesa inconscia ci propone che l’Altro – poiché possiede più di noi – sta sicuramente meglio di noi, è più protetto, è più al sicuro di noi. Essa suggerisce inoltre, che l’individuo che possiede la sicurezza, deve sicuramente averla derubata. La vita come furto è fondata sull’idea inconscia che siamo stati defraudati da una madre ingenerosa, e quindi siamo noi stessi legittimati a derubare gli altri. In questo caso, la fame d’amore si è trasformata in avidità, fusa con l’impulso a rivolgere a tutti i costi l’aggressività verso gli altri. Quando il senso di sicurezza interna di un individuo diventa turbato e sovvertito, come accade oggi per molte persone, esso finisce per essere fondato sull’avidità e sul bisogno di possedere e avere tutte le cose buone di cui aver bisogno. Il seno (e quindi la Madre) quindi deve essere smisurato, enorme e perfetto, sempre in grado di riempire un pozzo che, in realtà, è diventato senza fondo. Ma questa ferita narcisistica è espressa anche dai comportamenti dei quattro bambini vincitori del Golden Ticket. Essi, con la loro arroganza e avidità, esprimono tutta la distruttività dell’Io megalomanico fetale che divora per tentare di colmare il suo vuoto, e che non colmerà mai. Ogni aspetto del carattere dei quattro protagonisti li condurrà ad esiti diversi.
I quattro aspetti dell’avidità
Ognuno dei quattro bambini rappresenta una specifica declinazione dell’avidità. Ogni personaggio viene descritto in modo da farci osservare varie angolature e differenti particolari della fame d’amore trasformata in progetto vendicativo. Ognuna di queste avidità sarà poi punita con una sorta di legge del contrappasso (dal latino contra e patior, “soffrire il contrario”). Augustus Gloop, golosissimo di cioccolato, rappresenta il lato ingordo dell’avidità. Quando siamo presi dall’avidità, il senso di vuoto si tramuta in impulso a divorare. Si tratta di una pulsione al divoramento cieco, giusto per tentare di riempire l’angoscia del nulla che avanza. E’ come se il bambino pretendesse di non staccarsi mai dal seno e illudersi di mantenere una suzione costante e perenne. Nel film infatti Augustus è punito attraverso una macchina di suzione: egli stesso sarà risucchiato dal sistema di deflusso del cioccolato. Violetta Beauregarde è campionessa mondiale di gomma da masticare ed è una collezionista di primati. Violetta rappresenta il bisogno di essere primi ed unici. Quando siamo presi dall’avidità, siamo condannati ad essere perennemente vincenti. L’altro non può esistere e deve essere distrutto. I valori dello sport, quando non diventano sfrenata competizione, sono sicuramente un’ottima sublimazione del naturale bisogno di migliorarsi e di superare i propri limiti. Ma quando invece essi nascondono antagonismo, rivalità e lotta per la supremazia, allora si tratta di una malcelata forma di avidità. Violetta, alla continua ricerca di primati, assaggerà una gomma da masticare che la trasformerà essa stessa in un primato. Diventerà un’enorme mirtillo, gonfio di tutto ciò che brama di derubare alla Madre. Veruca Salt, figlia di un ricchissimo industriale, è viziata e perennemente insoddisfatta. La sua avidità, la porta a non sentirsi mai piena. Ogni oggetto che possiede non la riempie, ma è gonfia invece la sua alterigia e la sua presunzione. Il personaggio di Veruca dimostra presto che l’avidità si nasconde anche dietro il tentativo di nascondere il proprio vuoto interiore. La propria fame d’amore è prima di tutto negata e conduce facilmente all’arroganza e alla superbia. Il progetto vendicativo di questo tipo di avidità è un inconscio tentativo di punire la Madre ritenuta imperfetta. L’insoddisfazione perenne è infatti prima di tutto una paradossale punizione verso le (presunte o reali) mancanze affettive della Madre. Non essere mai contenti, garantirsi una vita di stenti, sempre sul filo della sopravvivenza, lamentandosi per una felicità che è sempre un passo troppo avanti è un irragionevole, raffinato ma diffusissimo, desiderio di vendetta per l’amore non ricevuto. È come se il bambino dicesse alla Madre: “sarò sempre infelice a causa delle tue mancanze”. Il contrappasso all’altezzosità di Veruca sarà di essere gettata nella campana degli scarti e delle immondizie. Mike Teavee, campione di videogiochi, è supponente e presuntuoso. Anche lui è avido delle ricchezze del seno materno. Per poterlo divorare ha sviluppato una mente razionale in grado di svelare i segreti di ogni tecnologia. Questo talento però non è usato per creare, ma per distruggere. L’invidia per un seno immaginato ricchissimo ma al tempo stesso avaro oppure ingeneroso, genera pulsioni di odio e di distruzione. E’ come se il bambino dicesse: “o le ricchezze sono tutte mie, oppure le distruggo perché nessuno le possa avere oltre me”. Nella metafora del film, il passatempo preferito di Mike sono infatti i videogiochi di guerra. Mike è un talento nel fare a pezzi, nell’annientare e nel sopprimere. La sua presunzione lo fa sentire forte, potente, superiore agli altri. Il contrappasso per Mike sarà quindi quello di essere ridotto a minima grandezza.
In generale, in questi personaggi osserviamo che il naturale e fisiologico bisogno di introiettare cose buone per alimentare una sana autostima è ormai molto lontano. L’avidità è piuttosto la contromisura iperbolica ad un sovradimensionato bisogno di sicurezza interna. Essa è una risposta illusoria all’utopia che il seno materno sia sempre a disposizione, perfetto e non manchi mai. Gli insaziabili impulsi a possedere, invece che difendere dal pericolo del vuoto interno, producono piuttosto un’infinita scontentezza, una insoddisfazione difficilmente controllabile, oppure la pulsione a distruggere le ricchezze che non si possono possedere. Nella vita delle persone, il rischio è quello di generare così un circolo vizioso, un vortice oscuro in cui vengono anzi favorite le sensazioni di insicurezza e incapacità, la mancanza di fiducia in sé e nella possibilità di produrre tutto ciò che ci è necessario per vivere. Chi non conosce il proprio vuoto interiore e non conosce la propria avidità, rischia di rimanere intrappolato nell’invidia della roba altrui. Mazzarò – il protagonista della novella “La Roba” (Giovanni Verga, 1883) – “… aveva accumulato tutta quella roba che tutti si rammentavano di avergli dato dei calci nel di dietro, quelli che ora gli davano dell’eccellenza, e gli parlavano col berretto in mano”. “L’Io, inoltre, è sempre alla ricerca di quello che non ha avuto ma quando l’ottiene è costretto a rifiutarlo e svalutarlo. Nulla potrà mai ridare quello stato iniziale di pienezza che è stato desiderato ma non è stato vissuto perché non c’era. Questo conflitto tra ricerca e rifiuto costituisce il fondamento dell’uomo contemporaneo……Colui che è avido non è mai contento: né di quello che è, né di quello che ha. Non è mai contento su se stesso. E’ sempre fuori di sé; è sempre altrove e non è mai tutto intero in nessun posto. Il suo luogo preferito è la mente raziocinante con la quale macina pensieri negativi, malcontento, insoddisfazione, rabbia e critiche contro di sé, contro gli altri, contro la vita”. (A.M., “La nascita della Cosmo-art”, o.c. pp. 19-21).
La vita come dono
Un secondo percorso, profondamente diverso dal primo, è la scelta che possiamo decidere di fare di fronte a tanta bellezza. Decidiamo di espugnarla, divorarla, derubarla, invidiarla, svalutarla, deriderla e distruggerla? Oppure con amore siamo consapevoli prima di tutto dei valori e della ricchezza che portiamo nel cuore, dell’amore del nostro Se, e con rispetto ed umiltà entriamo in dialogo con la bellezza della vita e della madre, chiedendo in dono di poterne godere e offrendo in dono noi stessi? Il secondo percorso è quindi indicato dall’agire di Charlie, cioè dell’Io in dialogo costante con il Sé Personale: Charlie ha un progetto (“…non preoccuparti dei soldi: ne stampano a palate. Ma di Golden Ticket c’e solo questo…”), è umile e amorevole, vive con la sua famiglia nella logica del dono reciproco, è pieno dell’amore del suo Sé e non esita a rinunciare a tutto quando ciò non corrisponde con il suo progetto profondo di creare amore per se e per i suoi familiari. “Maggiore è la pretesa, maggiore sarà la ferita. …La ferita narcisistica impedisce all’Io di essere totalmente….. E’ come se l’Io non fosse mai nato. E’ nato l’Io biologico, l’Io corporeo, l’Io psichico, ma l’Io Persona non è nato per intero”. La soluzione è decidere di nascere per intero come Persone, riconoscendo i bisogni dell’essere e non dell’avere, riconoscendo il progetto che c’è in ognuno di noi, e infine riconoscendo quanto pieno possiamo creare con il nostro operare artistico. Charlie è povero, ma è in realtà ricchissimo perché conosce l’arte dell’umiltà e del chiedere in dono, è pieno dell’amore per se stesso perché è centrato sul suo progetto è in dialogo costante con il suo Sé.
L’illusione della madre perfetta
Per viaggiare lungo questo secondo percorso della vita come dono, dobbiamo però affrontare prima una tappa intermedia: decidere di rinunciare all’illusione della Madre perfetta. La Madre perfetta, malgrado le nostre aspettative e pretese dell’Io megalomanico infantile, non c’è stata allora e non ci sarà più. Willy Wonka che nei flash-back da bambino osserviamo senza madre – e per di più privato di dolci e caramelle – da adulto ha ri-costruito con la sua arte un seno/utero/madre/fabbrica di cioccolato, in grado di dispensargli molte dolcezze. E’ la capacità artistica dell’adulto che – senza vittimismo – si adopera concretamente per riempire il vuoto e saziare la propria fame d’amore. Il pieno si può quindi ottenere lavorando noi stessi con umiltà, coraggio e arte e costruire giorno dopo giorno – proprio come fa Charlie – la nostra fabbrica di cioccolato. Accettando però che non sarà come doveva essere allora, ma che potremo creare comunque qualcosa di (molto) buono. La povertà di Charlie e l’assenza della madre per Willy, sono condizioni che potrebbe ragionevolmente autorizzarli ad una certa dose di vittimismo e autocommiserazione. Chi potrebbe biasimarli? E invece Charlie e Willy, non si lamentano mai della loro condizione, ma si adoperano per ricostruire ciò che sentono di desiderare. E così come Charlie saggiamente si fa aiutare dai suoi nonni e decide di condividere con altri, i suoi familiari e Willy Wonka, la bellezza del pieno, possiamo anche noi riconoscere l’importanza del Sé corale, degli altri con cui condividere un progetto di crescita. Dentro di noi c’è tanto pieno, c’è l’amore del nostro Sé, c’è la nostra creatività ci sono i valori che possiamo darci di Verità, Amore e Bellezza. Dentro di noi c’è tanto vuoto, c’è la ferita narcisistica che ha prodotto un deserto di dolore nel quale, a volte, ci perdiamo: ci sentiamo assetati, affamati e poveri, mendicanti di amore e attenzioni. Dentro di noi a volte prendono il sopravvento la pretesa e l’insoddisfazione. Dentro di noi c’è la decisione che prende il nostro Io Persona di nascere per realizzare un progetto. Un progetto di Amore e Bellezza come decide Willy dopo aver esplorato in lungo e in largo i tanti aspetti distruttivi della fame avida di amore decide di spingere il bottone che era tanto tempo che spettava: la decisione di nascere come Persona assumendo la responsabilità del progetto di avere un erede, di fare pace con il padre e con la sua storia e di avere finalmente una famiglia, delle persone con le quali scaldare il cuore.
Charlie Bucket ha una famiglia povera, vive con i genitori ed i quattro nonni e riceve una sola tavoletta di cioccolato all’anno, per il suo compleanno. E nonostante le speranze la tavoletta di Charlie non contiene il biglietto speciale che gli permetterà di accedere alla fabbrica. Subito ci viene proposto il tema del dono, di un cuore pieno di amore: infatti anche se nella povertà, il nonno dona a Charlie il suo unico soldo per comprare un’altra tavoletta, ma neanche qui troverà il biglietto d’oro. Ci vorrà l’intervento del Sé Cosmico: un dono arriva a chi vive pienamente nella vita come dono, per realizzare la lotteria della vita. Charlie così diventerà il quinto fortunato vincitore del concorso indetto da Willy Wonka, e potrà accedere alla misteriosa fabbrica con il nonno Joe, ex-operaio di Wonka. Il tour della fabbrica, guidato dal suo eccentrico proprietario, si rivela una continua fonte di sorprese, prima tra tutte gli Oompa Loompa, gli strani operai di Wonka. Questi minuscoli abitanti della foresta ci indicano la differenza tra la vita come furto e la vita come dono. Nel cuore della foresta non hanno cibo se non una nauseabonda poltiglia, amano il seme del cacao, lo rispettano, hanno sacra considerazione della bellezza e della bontà che la vita offre. Non si lamentano perché è troppo poco, non lottano tra di loro per accaparrarsi più semi possibile, né mettono tutto a ferro e fuoco. Nel corso del viaggio dentro la fabbrica-utero, mano a mano che l’avidità divora i concorrenti, Willy Wonka e Charlie esplorano nuove traiettorie, nuovi percorsi interiori. Salgono a bordo dell’ascensore magico che non segue i soliti percorsi in salite e in discesa, ma esplora più traiettorie: laterali, a sprofondare improvvisamente e il bottone di uscita dalla fabbrica, il momento di una nascita. Esplorare in lungo e in largo percorrendo insolite strade è il modo in cui ha viaggiato Ulisse ed è il modo in cui la Cosmo-art propone di procedere: esplorare i più profondi abissi del nostro bisogno d’amore, riconoscere i danni che provoca l’avidità e trovare strade alternative che siano validi ad una logica di salute interiore della persona. Come moderni Ulissidi, prima scendiamo negli abissi del nostro bisogno (vedi la nave drago che eslora le viscere della fabbrica) e poi decidiamo di nascere secondo dei principi e dei valori nuovi. Nel poema l’Odissea Tiresia parla ad Ulisse mettendolo in guardia dall’avidità che alberga nel suo cuore e gli offre una soluzione mirabile “se vuoi frenare il cuore e quello dei tuoi” (Od. XI, 104-114).
Charlie Bucket avrà in eredità la fabbrica di cioccolato…… ma che rifiuterà senza dubbio per non lasciare la sua famiglia! In Charlie non c’è traccia di avidità. Rifiuta per l’amore incondizionato che prova per i suoi genitori ed i nonni, non rifiuta per compiacere gli altri, rifiuta perché ha un progetto di amore e coralità da realizzare. Willy affronta una profonda riflessione su questa scelta e sente la sua infelicità. Dentro di lui c’è ancora il bambino solo e ingabbiato da un amore malsano di suo padre. Dentro di lui c’è il deserto da affrontare per la mancanza materna. E’ particolare l’assenza completa di un accenno alla figura materna di Willy e la maestosità di uterina dolcezza della fabbrica. Questa è una condizione umana profonda. Il vuoto affettivo, l’assenza di amore, e il bisogno di una montagna di amore, di una montagna di cioccolata, una cascata di cioccolata. Accetare il vuoto. Attraversarlo, per sentrici pieni di amore del nostro amore per noi stessi, pieni delle gioie che possiamo creare come artisti della nostra vita. Charlie è pieno ed è ricco del suo amore. Willy è trasformato dall’agire di Charlie e con il suo aiuto si riavvicinerà al padre dentista che lo aveva abbandonato negli anni dell’adolescenza, e potrà comprendere il tipo di amore di cui era capace suo padre. Potrà accogliere le mancanze e chiedere in dono un futuro pieno. Willy e Charlie lavoreranno insieme, Willy non sarà più solo, ha ritrovato l’affetto di suo padre e di tutta la famiglia di Charlie e la povera vita di Charlie e della sua famiglia è completamente trasformata: sulla misera casa ora si deposita una delicata nevicata di dolcissimo zucchero a velo.