Angosce e Regole del Setting di gruppo

Il transfert non è mai completamente univoco e monocolore. Già Racker (1970) ricordava come la differenza tra i diversi tipi di transfert avesse una diretta ricaduta sullo svolgersi del percorso terapeutico e inevitabilmente anche sui suoi esiti. Un transfert positivo era indicativo di guarigione e di buoni risultati, mentre un transfert negativo era indicativo di un percorso tortuoso e perfino di interruzione del percorso e di una prognosi negativa.
Anche se qui di seguito, per comodità, mi riferirò alla relazione tra psicoterapeuta e paziente, la fenomenologia del transfert non è per nulla esclusiva della relazione psicoanalitica. Lo conferma la definizione di R. Greenson, secondo cui il Transfertconsiste nell’esperienza di sentimenti, impulsi, atteggiamenti, fantasie e difese nei confronti di una persona attualmente presente, ma che non si addicono ad essa, ma sono una ripetizione di reazioni che trassero origine nel rapporto con personaggi significativi della prima infanzia, che vengono spostate su figure del presente“. Non si parla quindi nè di cura, nè di terapia: il transfert infatti è una costante di molte relazioni significative (anche non terapeutiche), soprattutto se asimmetriche: Counselor e Cliente, Sacerdote e Fedele, Impiegato e Capoufficio, ecc.

Il setting e forza proiettiva

Una delle modalità che meglio esprime la natura proiettiva e inconscia del transfert, sono le regole del setting. Come è facile immaginare essere sono state messe a punto dalla comunità scientifica a partire dalla letteratura clinica lungo almeno un secolo, e dalla sommatoria delle esperienze professionali di migliaia di professionisti. Esse hanno, come è facile immaginare una natura protettiva e di tutela.

Malgrado ciò, esse non mancano mai di sprigionare tutta la forza proiettiva dei vissuti relazionali infantili e prenatali. Ciò accade sia nelle terapie individuali, ma ovviamente anche nelle terapie di gruppo, dove addirittura il disagio può apparire moltiplicato e potenziato. L’effetto delle regole del setting, nel caso di un transfert negativo, spesso è quello di snaturare completamente il senso profondo della regola. Da protettiva, la natura della regola può – al contrario – apparire perfino oppressiva e violenta, a seconda dei vissuti infantili e intrauterini rimossi.

Ogni contesto ha le sue regole

Per quanto ogni regola abbia, nella sua natura, quella di una limitazione della libertà personale ai fini della convivenza civile, in altri contesti esse possono essere vissute in modo disagevole, ma difficilmente vengono interpretate come violente. Ad esempio, nel Gruppo automobilisti e pedoni può essere disagevole fermarsi al semaforo rosso quando si è in ritardo ad un appuntamento. Ma difficilmente il rispetto della regola viene vissuto in modo drammatico. Nel Gruppo passeggeri di aeroplano può essere fastidioso spegnere il WiFi durante un lungo volo transoceanico, ma difficilmente il rispetto della regola viene vissuto in modo critico o angoscioso. Nel Gruppo rappresentanti politici può essere fastidioso, durante la propria carica pubblica, non accettare regali, ma nella maggioranza dei casi (si suppone che) essa viene rispettata. Quindi, in generale, in altri contesti di Gruppo, accettare le regole può essere più o meno disagevole, ma difficilmente assume un carattere terribilmente penoso.

Riporto qui un esempio tratto da Stili Nevrotici, di D. Shapiro, nella sezione dedicata alla descrizione dello Stile paranoide (pag. 59), in questo caso tipico del transfert negativo tra impiegato e capoufficio:

“Un paziente aveva l’impressione che il principale volesse far di lui uno schiavo. Il paziente aveva numerose e dettagliate prove che testimoniavano l’esattezza del suo punto di vista, tutte ricavate con grande acume di osservazione. Tuttavia, per qualcun altro (un osservatore esterno, NdA), neppure queste prove avrebbero fatto credere che si trattasse di un principale particolarmente insolito. E’ vero che aveva insistito perchè il lavoro fosse svolto in quel determinato modo, e non come voleva il paziente. Certamente era esigente. Aveva protestato con il paziente per i suoi modi troppo bruschi con alcuni clienti. E molto probabilmente aveva fatto tutto ciò anche con un certo risentimento nella voce […] al fine di farsi ubbidire da un giovanotto troppo indipendente. Tutti questi fatti potevano ben essere accaduti, come di solito accadono con un principale, poichè costituiscono buona parte di quel che è suo compito fare. Per il paziente tuttavia erano indizi inconfutabili dei veri motivi di quell’uomo: farlo strisciare per terra come un verme e castrarlo. Ma tutti questi indizi comparivano in un contesto che il paziente trascurava (perchè aveva bisogno di proiettare il proprio vissuto rimosso, NdA), e che ne modificava radicalmente il significato. Il fatto è, che c’era una lavoro da fare, e il principale ne era responsabile”.

 

Un vissuto intrauterino doloroso può essere totalmente sovrastante da eclissare perfino la ragionevole evidenza che ogni contesto ha le sue regole. Ciò vale anche (e soprattutto) quando si parla di Gruppo Terapeutico e di regole del setting di gruppo. In questo caso, la forza proiettiva di un transfert negativo può essere talmente potente da far apparire le regole del contesto Gruppo Terapeutico, come inopportune o perfino inaccettabili.

Il transfert negativo come difficoltà a contattare il dolore

Quando un individuo lotta quotidianamente contro le fortissime angosce del proprio odio rimosso, difficilmente può accettare di entrare in contatto con tutti quegli elementi che potenzialmente possono indebolirne la rimozione. Nel caso di un transfert negativo, un Gruppo terapeutico che ponga delle normali regole di contesto può scatenare una violenta reazione di opposizione: esse possono – di volta in volta – essere vissute come antidemocratiche, tiranniche, oppressive e perfino dispotiche. Magari poi lo stesso individuo non ha grosse difficoltà ad acquistare un Ebook la cui proprietà digitale gli impedisce di prestare il libro o di regalarlo. Ma poiché in quel contesto non è attiva (o ferocemente attiva) la proiezione negativa, l’individuo accetta a malincuore il piccolo disagio, fondamentalmente accetta la regola e continua ad acquistare gli Ebook.
Ma inserito in un gruppo terapeutico invece, ogni limitazione di libertà è amplificata e vissuta come la riedizione di una sorta di sopruso brutale, impetuoso e inaccettabile. Al contrario, l’individuo pretenderebbe un gruppo ideale e perfetto, dove poter illusoriamente essere finalmente risarcito delle manchevolezze della vita. Il medesimo individuo non avrebbe difficoltà a spegnere la propria sigaretta entrando nel reparto broncopolmonare di una corsia d’ospedale. Ma se il suo setting – ad esempio – prevede di riportare fedelmente le sue frequentazioni esterne con altri partecipanti del gruppo, allora questa regola è percepita come una insopportabile angheria e un sopruso. Dimenticando – tra l’altro – di essere all’interno di un Gruppo terapeutico, con l’obiettivo di fare un percorso di crescita.

Nel transfert negativo di un setting di gruppo, l’illusione è quella che il percorso di crescita non debba avere regole. Oppure, se proprio ci devono essere, devono almeno essere le proprie. Stiamo ovviamente parlando di individui che non avrebbero nessuna difficoltà a mantenere il silenzio durante una sessione di yoga, oppure in una sala teatrale durante lo spettacolo. Ma inseriti in un gruppo terapeutico, improvvisamente possono diventare preda di intensissime proiezioni interne e non riuscire a venirne fuori.

Eppure, ci ricorda Freud citato da E. Roudinesco “... solo la Civiltà, ovvero la costrizione di una legge imposta all’onnipotenza delle pulsioni omicide, permette alla Società di sfuggire ad una barbarie desiderata dalla stessa Umanità“. E se Freud si limitava a descrivere la competizione fratricida come pulsione di supremazia dell’uno sull’altro, Melanie Klein ha descritto questa difficoltà come preda di invidie distruttive, che rendono complesso, oppure addirittura ostacolano, il passaggio verso la gratitudine.

Oltre la psicoanalisi: una visione cosmoartistica

Ma volendo anche andare oltre una visione strettamente psicoanalitica, Antonio Mercurio ci conferma esplicitamente che la hybris e le pretese sono la risposta alla ferita narcisistica: volontà suicida e volontà omicida esprimono la decisione dell’Io Fetale che non è disposto a perdonare. Il Sè viene eclissato, e l’Io-Persona stabilisce un oscuro patto di alleanza con il progetto vendicativo dell’Io Fetale.
Non c’è modo di modificare dall’esterno, nè con la forza, nè con la suggestione o con qualunque terapia, questa libera decisione individuale.
Infatti – contrariamente a Freud, il quale sosteneva che l’Io non è padrone a casa propria – Mercurio sostiene che la Persona è “… un principio spirituale, dotato di libertà e identità proprie, che è fine a se stesso e a nessun altro, i cui elementi costitutivi sono la capacità di amare se stesso, di amare e di essere amato“.
Qualora, e quando, si riuscisse ad accettare il proprio dolore e la propria impotenza, allora la proiezione potrebbe lentamente allentare la sua morsa. Fare della propria vita un’opera d’arte significa imparare a ragionare analogamente a quanto farebbe un artista: amarsi – dice ancora Mercurio – vuol dire accettarsi, accettare la propria storia esattamente così com’è. “Vuol dire accettarsi e poi trasformarsi; trasformarsi vuol dire morire e poi rinascere“. E l’Io Fetale non vuole mai morire. “Amarsi vuol dire conoscere (l’odio rimosso, NdA) e conquistare la gioia, superando e trasformando il dolore”. L’Io Fetale non rinuncia mai al suo piacere, e non accetta il dolore, per conquistare la gioia.

Ma dove, da solo, non riesce un singolo individuo, può riuscire un Sè Corale che sia in grado di evitare qualunque compiacimento vittimistico e qualunque seduzione indulgente. L’Io Fetale infatti non viene scalfito nè dall’uno, nè dall’altro. Per ricostruire un transfert positivo è necessario ricontattare la fiducia nelle proprie parti positive, nella saggezza della propria guida interiore, il quale non ci conduce dove vogliamo noi (non segue il principio del piacere), ma dove invece è giusto che noi andiamo (segue il principio della gioia). Se ogni partecipante di gruppo è disposto a riconoscere la propria hybris e ad entrare nella fornace del proprio odio rimosso, allora vi è la speranza che tutti insieme si possa decidere di “accettare di morire in una forma per rinascere sotto un’altra“.

 

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Direttore dell'Istituto Solaris - Sophia University of Rome, di Arte terapia, Counseling a Mediazione Artistica e Cosmo-Art. Allievo del Prof. Antonio Mercurio. Psicologo, Psicoterapeuta, Antropologo cosmoartista, Counselor Supervisor del CNCP - Coordinamento Nazionale Counsellor Professionisti. Ha scritto quattordici libri, centinaia di articoli per molte riviste, tenuto numerose conferenze e partecipato a molti congressi nazionali e internazionali.

5 COMMENTI

  1. Grazie per questo articolo che parla al mio Io persona artista che vuole uscire dal principio del piacere ancora una volta.

  2. Ho trovato questo articolo molto interessante, chiaro e con interessantissimi spunti di riflessione sia di carattere più strettamente metodologico che di natura esistenziale e spirituale. Grazie Direttore!

  3. Grazie Direttore per quest’articolo chiarissimo, che spinge a fare una profonda riflessione su temi che riguardano davvero tutti!

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