Il brodo si mangia con il cucchiaio e la pasta con la forchetta
Come a tavola, anche sul cuscino di meditazione bisogna usare gli strumenti giusti. Talvolta le persone si impegnano a meditare per ore, giorni, mesi o anni senza alcuno sviluppo, rimanendo sempre fermi al punto di partenza; e non perché manca loro la motivazione o la volontà, ma perché hanno un atteggiamento improduttivo. Continuano a meditare in un certo modo perché è l’unico che conoscono, lo stesso con cui vivono l’amore, il sesso e la vita in generale. E finiscono sempre negli stessi vicoli ciechi. Vedremo in seguito quali sono i più frequenti. Innanzitutto, per meditare, come per amare, sono indispensabili due cose: avere una percezione corporea del sé, ossia sentirsi bene nella propria pelle, e provare benessere con continuità, non soltanto in momenti sporadici ed eccezionali. L’identità è prima di tutto una sensazione fisica, anche se molti credono che sia un concetto mentale. Quando mi sento, so che ci sono e che mi appartengo. Altrimenti, posso anche riflettere a lungo sulla domanda «chi sono?», ma non troverò mai una risposta adeguata e, nel caso in cui la trovi, sarà certamente accompagnata da dubbi persistenti.
Per essere me stesso, devo sperimentare che sentirmi bene è uno stato naturale, non un’eccezione. Arrivare a una costante sensazione piacevole del proprio corpo è una grande conquista, se teniamo conto del fatto che la maggior parte della gente per il novanta per cento del proprio tempo è «frammentata», cioè non ha una sensazione corporea omogenea, non percepisce il corpo come unito in sé, ma a pezzi. Percepisce per esempio solo la parte superiore, ma non le gambe, sente il petto, ma non la schiena, insomma, si sente divisa in due. Frammentazione è lo stato che la gente considera normale, integrità è l’eccezione. Nei momenti in cui perdo il benessere, sono frammentato. Dunque, è importante accorgersi della frammentazione, conoscerne l’origine e le dinamiche, sapere come ricomporre i pezzi e arrivare alla sensazione piacevole di unità. Questo è un processo principalmente psico-corporeo, all’interno del quale la respirazione svolge un ruolo chiave. Solo se la buona sensazione di se stessi è stabile, la meditazione, il tantra o qualsiasi altra via spirituale diventano piacevoli, altrimenti stiamo facendo un esercizio che ci renderà coscienti di quanto siamo frammentati e di quanto siano sconnessi i nostri pensieri, desideri, sentimenti e il nostro corpo.
Questa frammentazione si manifesta nei cosiddetti «mille ostacoli alla meditazione», che sono simili a quelli che incontriamo nella vita, con l’unica differenza che durante la meditazione non possiamo attribuire la causa della nostra insoddisfazione a qualcun altro. Quando incontriamo un ostacolo, lo vediamo proprio qui, davanti a noi, che assorbe tutta la nostra attenzione ed è ingombrante. Perciò i maestri dicono: se durante la meditazione incontri un ostacolo, questo è la tua realtà, e dunque diventa l’oggetto della tua meditazione.
La mente è per la mente un incomparabile cavallo da cavalcare.
Milarepa
In verità non esistono ostacoli alla meditazione, perché meditare significa osservare la realtà al proprio interno così com’è. È come in un puzzle, nel quale non c’è niente da capire ma occorre la pazienza di incastrare i pezzi nel posto giusto, senza modificarli, senza volerli sistemare in un colpo solo, senza pretendere di arrivare a un’immagine diversa da quella che il puzzle contiene. Il punto critico è far fronte alla fase in cui ci sentiamo a metà: una parte del puzzle, il bosco e gli edifici, è terminata, ma le montagne e gran parte del cielo sono ancora da mettere insieme.
La mente spesso vorrebbe comporre tutto subito, poiché segue questo ragionamento: ho capito che sono frammentato, cosa posso fare per ricompormi, per sentirmi di nuovo tutt’uno? Devo rilassarmi, concentrarmi, respirare diversamente, focalizzare l’attenzione su qualcosa in particolare o configurare i pensieri in un altro modo? La mente vorrebbe una soluzione rapida, ma il corpo richiede i suoi tempi. Dovrei forse meditare più spesso, sono troppo giovane o anziano per iniziare, o dovrei invece confrontarmi con certe emozioni che mi creano difficoltà?
A proposito dei dubbi che emergono con la pratica, secondo Pema Chödron, una monaca americana allieva di Chögyam Trungpa, uno dei lama più eccentrici del secolo, ci sono quattro principi per avvicinarsi alla meditazione:
1. in qualsiasi momento tu decida di cominciare è il momento giusto per farlo;
2. chiunque tu incontri è la persona giusta in quel momento;
3. qualunque cosa si manifesti alla tua coscienza è la cosa giusta in quel momento;
4. quando è finita, è finita.
Una difficoltà del percorso consiste nel rimanere fedeli al momento, senza paragonare le singole meditazioni alle esperienze di picco avute in precedenza.
Queste ultime ci infondono la fiducia nel fatto che il vero sé è beato e luminoso, certo, ma alimentano un desiderio tale di raggiungere di nuovo quei traguardi da creare una frapposizione, simile a un filtro, tra noi e ciò che sperimentiamo qui e ora. L’unico atteggiamento che ci aiuta ad arrivare alle esperienze estatiche e ad altre esperienze di gioia o di grande piacere è la fiducia: sapere che esistono, che il nostro corpo le ricorda e fidarsi del fatto che nel momento giusto ritorneranno. La fiducia è una forza superiore della mente che ci sostiene durante il viaggio interiore. Anche la fiducia va nutrita nel proprio corpo, pensarla soltanto non è sufficiente: ci vuole quel senso di stabilità in se stessi che si crea nel bacino, nelle gambe, nell’addome e nei genitali mediante un respiro profondo e rilassato, il quale ci porta a fidarci senza alcuno sforzo. In tal modo comprendiamo che ai momenti di estasi seguono delle ombre, che ogni picco ci offre una panoramica chiara sui prossimi problemi da risolvere, e che ogni aspetto portato alla luce dall’inconscio ci consente di avvicinarci all’esperienza estatica successiva.
Le montagne ci sono perché tra di loro ci sono le valli. I momenti estatici esistono perché divisi dalle tenebre dell’anima. La pace interiore esiste perché ci sono i conflitti con te stesso.
Citato da: Elmar e Michaela Zadra, Tantra e Meditazione, Rizzoli 2006