Cosmo-Art e Counseling
Fare pace con i propri genitori: dalla rabbia alla gratitudine.
Quale gratitudine, sono arrabbiato!
Genitori e gratitudine: un binomio non sempre così scontato! La famiglia è per molti il luogo privilegiato del conflitto. In famiglia si sono consumati i maggiori scontri della nostra vita, certamente i più profondi. È un’esperienza diffusa quella di essersi sentiti non visti, non compresi, non riconosciuti – sostanzialmente non accolti – dai propri genitori. Tutti quei non hanno fatto crescere in noi una forte rabbia. Da quei genitori abbiamo a lungo preteso che cambiassero e, in alcuni casi, malgrado il remoto raggiungimento della maggiore età, siamo ancora in attesa di un risarcimento danni. Anche se adulti, magari a nostra volta genitori, ogni volta che qualcosa non va, possiamo ritrovarci a pensare che la colpa sia di mamma e papà. Se non siamo sufficientemente realizzati professionalmente, se il nostro rapporto di coppia non funziona, se non siamo tanto felici quanto desidereremmo e meriteremmo, la colpa è dei nostri genitori, degli errori che hanno compiuto nei nostri confronti. Siamo vittime della loro incapacità educativa, della loro impossibilità di esserci come avremmo avuto bisogno.
Può esserci gratitudine in “guerra”?
Questa percezione di noi stessi può farci sentire in guerra con i nostri genitori, senza che necessariamente rientri nella nostra storia familiare uno scontro tanto eclatante e definitivo, da aver generato nei fatti un’interruzione dei rapporti. Possiamo essere in guerra con i nostri genitori, pur condividendo con loro pranzi familiari, festeggiamenti di ricorrenze e celebrazioni natalizie. La guerra molto spesso è fredda, priva di battaglie sanguinarie. La guerra è nel nostro cuore e le sue battaglie sono intestine, profonde; guerra a tal punto fredda, da averci congelato il cuore, ricoprendolo di astio e desiderio di vendetta.
La gratitudine è trascendenza
Se quindi essere in guerra con i nostri genitori equivale ad una posizione interna di rabbiosa recriminazione e giudizio: cosa vuol dire allora fare pace con loro? Vuol dire modificare quella posizione interiore, scegliendo di crescere: assumendosi il proprio cambiamento, senza attenderlo e pretenderlo da Chi la Vita ce l’ha data. Crescere equivale a cambiare il punto di vista, ad ampliare la propria visione, includendo in essa la Vita e l’Universo. Questi due Signori ci hanno voluti e sostenuti fin qui. Hanno accolto la nostra unicità di Persona, l’hanno protetta dall’indifferenziazione. Non è forse irriconoscente ripudiarli come genitori? Se scegliamo di essere per tutta la vita solo figli di nostra madre e nostro padre biologici, probabilmente disinnescare le bombe del risentimento e della vendetta sarà impresa più ardua per noi. Mettere a fianco alla nostra ferita la consapevolezza del nostro egoismo di figli, può aiutarci a comprendere la portata spropositata della nostra pretesa; può aiutarci a riconoscere il nostro sostare in una posizione infantile, dalla quale l’unico modo possibile di considerare i nostri genitori è come dei super eroi, perfetti e onnipotenti. Nostra madre e nostro padre biologici sono a loro volta portatori di un vissuto, che nella nostra vita adulta dobbiamo trovare il modo di integrare nelle nostre storie. Odiare loro, odiare quella storia è odiare noi stessi, che da quella storia veniamo. Fare pace con i nostri genitori significa fare pace con le nostre radici. Ancora più profondamente significa essere grati a quelle radici. La gratitudine è un sentimento assai arduo da contattare. Si oppongono ad essa la rabbia, la pretesa, l’avidità, l’orgoglio, il vittimismo. Ostacoli infiniti chiedono di essere trasformati e trascesi, per poter accedere alla gratitudine. Per essere contattata, la gratitudine ha bisogno della capacità di trascendere se stessi. Grato per cosa, poi? Per le assenze, le mancanze, le offese? Qualcuno potrebbe legittimamente pensare.
I genitori fanno il massimo che è nelle loro possibilità
Acquisito che i nostri genitori possono aver ferito la nostra sensibilità di figli, può venirci in soccorso pensare che anche loro sono stati bambini, figli di genitori altrettanto bisognosi, altrettanto distratti e distanti. È vero, probabilmente hanno commesso errori nei nostri confronti, provocando ferite più o meno profonde, ma altrettanto probabilmente hanno fatto il massimo che era nelle loro possibilità; altrettanto probabilmente ci hanno amati silenziosamente e profondamente, senza essere capaci dei gesti di cui avremmo avuto bisogno. Certamente, questo sì, ci hanno donato la Vita biologica e con essa più profondamente l’opportunità grandiosa di giocare la nostra partita, di raccogliere con umiltà e accogliere con amore la loro eredità, e fare in modo di mettere le ali a quelle ferite, che affondano le loro radici nelle generazioni, che ci hanno preceduti. Ecco, ora se noi lo decidiamo, abbiamo l’opportunità di interrompere un corso e iniziarne un altro; ad una condizione: che riusciamo a mettere nel nostro cuore la gratitudine per quanto ricevuto; che riusciamo a percepire la grandezza di quanto ricevuto; che possiamo riconoscere la straordinarietà e l’unicità del nostro essere Persone. Abbiamo un nostro progetto da realizzare, abbiamo una nostra missione esistenziale da compiere. Se sapremo abbandonare la pretesa, se sapremo contattare la gratitudine e chiedere in dono, la Vita ci risponderà. La partita si gioca nel nostro cuore. Se sapremo trasformarlo, faremo a noi stessi il dono di una Vita realizzata e piena. Se sapremo trasformarlo e impareremo a coltivare la gratitudine, non avremo più bisogno di cercare colpevoli né nemici, e potremo finalmente essere liberi di deporre le armi.