buono

I buoni: una razza in via d’estinzione

Un uomo buono. Ieri sera ho rivisto con piacere “Forrest Gump“, ritrasmesso da Canale 5 in prima serata. Ogni volta che lo rivedo non posso fare a meno di commuovermi e confermare nuovamente la sensazione che ebbi vedendolo la prima volta al cinema: una dolcissima poesia dall’inizio alla fine. Non so perchè, mi ha fatto ripensare ai primi anni di scuola, quando il capo-classe in assenza della Maestra, era autorizzato a dividere in due la lavagna con il gesso, e a scrivere da una parte i nomi dei BUONI e dall’altra quelli dei CATTIVI. Io di solito ero così spaventato da questa terribile iniziativa, che rimanevo zitto zitto, finivo per sparire, tanto che talvolta non comparivo in nessuno degli elenchi. Ma mi sono chiesto se oggi qualcuno volesse, con tanto di lavagna e gesso, decidere chi va da una parte e chi dall’altra, quale metodo utilizzerebbe? Con quale criterio si verrebbe assegnati ad una categoria o all’altra? Forrest Gump mi ha fatto pensare alla figura di “un buono”: un buono d’animo e di cuore. Non gli importa che Jenny lo fa soffrire mille volte: appena lei gli chiede di sposarlo, sapendo di essere gravemente ammalata e temendo per il fliglioletto, accetta subito.

Non ci deve neppure pensare un istante. La mente di Forrest non pratica tutta la comune dietrologia che affligge le menti dei “normali”. Questo sarebbe il sentiero mentale della maggior parte delle persone che conosco in una situazione del genere. Eppure l’offerta di matrimonio di Jenny sembra non passare attraverso il cervello di Forrest, passa direttamente dal cuore: ed è quest’ultimo che risponde così rapidamente. Forrest è un “buono” per definizione: una razza in via di estinzione. Non a caso il regista deve disegnargli addosso il personaggio di un ritardato mentale: diversamente la sua figura potrebbe non reggere, diventerebbe improponibile. Ma perchè? Perchè il “buono-normale” non esiste quasi più: e il regista lo sa. Il buono ormai vive solo nei personaggi come Forrest, il “puro-di-cuore” è tale, solo se è anche ritardato mentale, handicappato, o altro. Nessuno comprerebbe una barca per gamberi solo perchè lo aveva promesso ad un amico.

Solo un folle potrebbe farlo. L’amicizia, l’affetto, la schiettezza, l’autenticità, la bontà d’animo, la purezza di cuore vivono ormai solo nei libri di Edmondo de Amicis e nei personaggi come Forrest (e forse in qualche telenovela). Ma nessun “intelligente-normale” si potrebbe mai identificare nell’uomo che crede tanto nell’amore, fino ad aspettare una donna per decine di anni: tutti gli darebbero del pazzo.  La figura del “buono” è fuori moda: è kitsch, pesante, fastiosa, inopportuna, ma soprattutto inadeguata. Inadeguata ad una società che privilegia – al di là di ciò che apparentemente professa – valori come la furbizia, la scaltrezza, l’intelligenza iper-razionale e il cinismo. “Io non mi faccio fregare”: questo sembra scritto sulla fronte delle persone che incontro continuamente. “Io sono più furbo di te, e alla prima occasione te lo …”. Ognuno con la sua zappetta e ognuno con il suo orticello. Il “normale” si identifica con l’intelligenza, difficilmente con la bontà. La bontà è troppo irrazionale, troppo umana, troppo difficile da sopportare. La bontà ti porta a scelte assurde, anti-economiche, controproducenti, dispersive.

Intelligenza e bontà

L’intelligenza invece ottimizza, calcola, e produce. Eppure Forrest Gump, che dice di sè “so di non essere un pozzo di scienza …”, ha tanta di quella umiltà che sono certo avrebbe da insegnarne a molti scienziati, geni, ricercatori, illustri professori, esimi cattedratici e via discorrendo. Quanto più assurdi e buffi di Forrest mi appaiono spesso tali “baroni” della scienza, della medicina, del giornalismo, della politica, della tecnologia avanzata: identificati totalmente nel loro sapere da diventare a loro volta inquisitori, oscurantisti, prigionieri delle loro piccole sicurezze che la società loda ed amplifica. Il valori che questa società usa per giudicare un uomo sono la sua intelligenza, la sua arroganza, astuzia, spesso la sua presunzione e ambizione che gli permetteranno di avere successo e raggiungere una poltrona di potere. Conoscete qualche grande primario ospedaliero (uno che che ha il compito di curare gli ammalati) che ha raggiunto quella posizione grazie alla sua straordinaria umanità, al suo cuore e soprattutto alla sua autentica bontà? Conoscete qualche grande politico (uno che ha il compito di guidare le importanti scelte della gente) che sia arrivato ad un ministero grazie alla sua bontà? Non c’è via di uscita: la bontà non aiuta la scalata sociale.

E’ considerata un accessorio del tutto personale: se c’è non fa male, ma … Eppure gli uomini che ricoprono cariche di potere in ogni settore della società, sono persone da cui dipendono settori importantissimi della vita di tutti noi: la salute, il lavoro, gli affetti. Eppure questa società affida i settori più importanti e strategici della vita sociale a persone che la bontà se la sono dovuta mettere – anche loro malgrado – in tasca tante volte. Nessuno – tra i tanti esami che hanno dovuto superare – gli ha mai chiesto: “ma tu, sei veramente buono?”. No: gli hanno chiesto il teorema di Pitagora, l’estratto conto, e il patentino di …. chirurgo o di assessore, di scienziato, ecc. E i buoni dove sono? Sono tra di noi, ma si nascondono! Si mescolano tra la folla cercando di non essere visti, di non essere notati. Io non sono un cattolico sensu strictori, ma sono sicuro che se Cristo rinascesse oggi a Roma, Milano, New York o Los Angeles, starebbe bene attento a quello che dice e che fa. Sai Baba non è Cristo, ma ha affermato che non verrà mai in Occidente, perchè l’Occidente non è pronto.

Se sei buono e ti nascondi, puoi anche continuare a fare la tua vita: ma se sei TROPPO buono, allora c’è qualcosa che non va. La tua irrazionalità sarebbe a questo punto una vera e propria provocazione, un insulto e sono sicuro metterebbe in imbarazzo più di qualcuno. La società allora metterebbe in atto uno dei tanti meccanismi perversi, costruiti per proteggere la sua stessa incolumità, il suo equilibrio. Finiresti in uno dei luoghi di ri-educazione socialmente previsti: il manicomio o la prigione. Ecco perchè Forrest Gump si è dovuto nascondere dentro un “ritardato mentale”: perchè è così che tutti noi oggi vediamo i buoni: se uno è buono, come minimo dev’essere un imbecille! Riflettiamoci: ma è proprio questo il futuro che vogliamo darci?

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