“Non c’è dolore che un èclair al cioccolato non possa consolare”. Adrienne Monnier
Metro B ore 9,00 del mattino. Accalcati come su un carro bestiame con la temperatura esterna che supera già i 30° e senza aria condizionata c’incamminiamo verso l’immutabile giornata lavorativa. Riesco a sedermi solo perché è capolinea e meno male così posso leggere la chiave di lettura del nostro prossimo seminario di cinema terapia che come tema avrà il “Progetto di Bellezza” e il film che andremo ad approfondire sarà “Seabiscuit” di G. Ross. Vicino a me una ragazza con una bimba piccola. La vedo triste, sofferente per il caldo, mi parla con voce sommessa e mi chiede la carità. Dico automaticamente che non ho soldi, che devo passare in banca. Non é affatto vero, prima di uscire ho infilato alla rinfusa più di cento euro in borsa, tento di scusarmi col senso di colpa che mi assale e mi accorgo che è anche incinta. Lei mi parla piano, la bimba mi guarda e mi sorride. Fa caldo, tanto caldo ed io vorrei scappare via. Lontano. Cominciamo a parlare lei mi dice che non trova lavoro come neppure suo marito che è rimasto a casa con un altro bambino di quattro anni. Mi racconta che è italiana e so che non è vero la tradisce un vago accento dell’Est, potrebbe essere di etnia rom o sinti oppure, più semplicemente, una “zingara” italiana.
La bimba comincia a dare piccoli segni d’insofferenza, io frugo in borsa e trovo una scatoletta di mentine che le porgo, la piccola ci gioca, le sbatte per sentirne il rumore, tiene i piccoli bottoncini bianchi in mano ma non li mette in bocca. La madre mi racconta che scenderà dopo qualche fermata e che prenderà un’altra metro in senso contrario, così fino a sera. Cerco di convincerla che è una follia è come rimanere dentro un forno tutto il giorno. E’ irremovibile non c’è verso. Le dico che se deve elemosinare tanto vale farlo in un parco all’aperto per la bambina oppure in pieno centro che so via Borgognona, via Frattina, ecc… No, no e poi no, mi dice che non ce la fa. Non lo sa fare. Non riesce a uscire da quella specie di “tana” in cui si è infilata. Non ce la fa a tornare in superficie, è qualcosa che va ben oltre. Cerco con gli occhi sguardi d’aiuto e vedo di fronte e di lato a me tutte donne, più o meno giovani, più o meno in empatia. La piccola comincia a piangere ed io frugo di nuovo nella mia borsa, trovo un biscottino incartato, piccolo piccolo, di quelli che ti danno all’estero insieme al caffè, lo apro e glielo porgo, deve piacerle perché mi sorride, conosco il gusto, dolce con retrogusto salato tipico dei biscotti burrosi del nord.
Ci plachiamo un po’ tutte, lo sguardo fisso ai gesti della bambina, è come se in lei vedessimo tutto il nostro dolore e la nostra impotenza. La madre la tiene sulle ginocchia mentre si mette una mano davanti agli occhi, forse anche per lei il dolore adesso è troppo. Restiamo tutte immobili, le fermate si susseguono. Riesco anch’io a starmene ferma in silenzio provando ad ascoltare questo dolore. Una turista con mega valigia al seguito non ce la fa e le porge un’intera scatola di biscotti e scende tutta trafelata a Termini. A volte il dolore lacera l’anima. Lo accetto non posso fare nulla né per quella madre né per la sua bambina. La ragazza di fronte munita di cuffiette-scudo e musica Heavy Metal non regge e si lascia sfuggire una lacrima. E’ arrivata la fermata. Mamma e bambina scendono. Antonella così si chiama la piccola mi dà un’ultima occhiata languida. Ha due anni e mezzo, leggo il dolore nell’intensità dei suoi occhioni scuri ma leggo anche la gratitudine per quel biscottino un po’ salato, o almeno così mi piace pensare. Accetto la mia impotenza ed ho subito un flash, una sorta di ricordo lontano.
La stessa gratitudine che anch’io bambina provai dal droghiere esattamente mezzo secolo fa, quando una signora mi donò un pasticcino che pare guardassi insistentemente. Era un mignon di Sacher torte. Ricordo ancora quel retrogusto amaro del cioccolato e il piacere che ho provato una volta sciolto in bocca. Mi piace pensare che sia stato così anche per la piccola Antonella, che il sapore del suo “Seabiscuit” l’accompagnerà per tutta la vita com’è stato per me. Mi piace pensare che tutto abbia una sua circolarità. Non è un caso se oggi io so fare una mitica Sacher torte.