Lo sfruttamento delle donne nella Cina di ieri e di oggi
In tutta la Cina si assiste ad una recrudescenza della prostituzione. Decine di migliaia di donne vengono comprate e vendute ogni anno. Un milione e mezzo di prostitute e compratori maschi sono stati arrestati tra il 1991 e il 1995. L’isola Shangchuandao a largo del Guangdong è una meta turistica che offre droga e casinò con oltre 300 prostitute. Nel 1994, 500000 turisti hanno speso oltre 55.8 milioni in servizi turistici legali personali. Le aree più colpite sono le regioni povere dello Yunnan, del Sichuan e del Guizhou. La Cina è anche destinazione di un traffico di donne provenienti dalla Ucraina e Russia.
Spesso gli stessi mariti vendono le donne ai trafficanti. Il costume pre-rivoluzionario della vendita delle mogli è ritornato nei villaggi rurali della Cina. I sensali di matrimoni – essenzialmente commercianti di schiavi – setacciano le campagne, offrendo ragazze in vendita ai futuri mariti. I reclutatori rapiscono e comprano donne e ragazzine. Dal 1991 al 1996, la polizia cinese ha liberato 88.000 donne e bambini rapiti, ed ha arrestato 143000 persone per aver preso parte al commercio della schiavitù. Le donne collaborano con i sensali di matrimoni nella speranza di salvare i propri familiari dalla fame. “La gente locale difende un’uomo che compra la moglie, pensano che se lei prende soldi e li manda ai parenti, allora lui dovrebbe essere in grado di poterla sposare. I trafficanti forzano gli immigrati cinesi ad uno stato di servitù, le donne nella prostituzione e gli uomini nel mercato dei ristoranti. Nel settembre del 1998, 153 uomini e 21 donne, inclusi 35 adolescenti, sono giunti a San Diego, in California via Messico, dopo aver pagato 30.000 dollari ai contrabbandieri. Nel 1997, 69 e nel 1993, 650 immigrati cinesi sono stati intercettati nella stessa area.
Se catturati dagli ufficiali dell’immigrazione (INS), la maggior parte viene rispedita in Cina, a meno che non riceva lo status di asilo politico. I contrabbandieri invece, sono sottoposti alla giurisdizione degli Sati Uniti. Le ragazze cinesi, tra i 12 e i 18 anni, sono maggiormente richieste per il mercato del sesso in Tailandia da quando è diminuita la percentuale di ragazze del nord della Tailandia adescate dai trafficanti. I bordelli di Hong Kong assumono sorveglianti al fine di impedire alle ragazze di fuggire. La prostituzione è molto diffusa a Shenzhen, e i bordelli, le saune e i luoghi di ritrovo attraggono molti uomini da Hong Kong, che sorge appena al di là del confine. Inoltre la prostituzione è comunemente utilizzata da più di mille benzinai per adescare automobilisti, nella regione del Ningxia, Qui gli automobilisti che vogliono comprare una tanica di benzina devono prima comprare servizi sessuali. Una campagna nazionale contro la prostituzione è stata lanciata nel 1997, che ha seguito il risorgere delle attività pornografiche a Pechino. Le autorità di Sicurezza Pubblica sono state spronate a condurre indagini su balere, saloni di massaggio, parrucchieri e villaggi vacanze per i forti segnali di prostituzione e droga.
Tale campagna si è intensificata in questo ultimo anno, in vista delle Olimpiadi di Pechino del 2008. Un interessante reportage su La Repubblica (del 27 luglio 2007), ci informa che, oggi in Cina, un Vip che si rispetti deve manifestare il suo status mantenendo un esercito di giovani amanti. L’ampiezza dell’harem di concubine è uno degli indicatori più fedeli del livello di potere politico o finanziario. Già Mao Zedong si era premurato di emulare gli imperatori: le memorie del suo medico personale narrano che alcune Guardie rosse della sua scorta avevano il compito specifico di reclutare giovani compagne sempre nuove, per sfamare l’insaziabile appetito sessuale del leader comunista. Il fenomeno delle “seconde mogli” iniziò con i cinesi della diaspora all’inizio degli anni Ottanta: non appena Deng Xiaoping aprì le frontiere al ritorno dei capitali che erano fuggiti all’estero durante il periodo più duro del comunismo. I ricchi imprenditori di Hong Kong e Taiwan attirati dalle riforme economiche furono i primi a investire in Cina. Facendo la spola con la terraferma mantenevano due famiglie: una nel luogo d’origine, l’altra nella seconda casa intestata a una ragazza di Canton o Shanghai.
Il fenomeno della doppia vita si è esteso a tal punto che nelle ricche metropoli industriali della Cina orientale e meridionale, da Hangzhou a Shenzhen, interi quartieri di lusso sono noti oggi come “i condominii delle seconde mogli”, abitati dalle giovani amanti (e dai figli) dei ricchi businessmen pendolari. In una fase in cui molte famiglie, anche nel ceto medio, sono preoccupate per l’aumento del costo della vita e dalla dura competizione per i figli neolaureati sul mercato del lavoro, lo spettacolo degli harem di concubine dei potenti viene denunciato come “perversione e decadentismo”. Con un’audacia evidentemente autorizzata dall’alto, alcuni organi di stampa hanno ripreso da un blog su Internet una “classifica nazionale dei campioni dell’adulterio”, un inedito campionato ufficioso degli harem. La palma d’oro viene assegnata a un ex boss di partito del sud del paese, Su Qiyao, che con 146 amanti ufficiali ha sgominato la competizione. Yang Feng, ex segretario comunista nella provincia dello Anhui, ha vinto il premio speciale per “qualità di management”. Avendo conseguito un Master in business administration all’università di Pechino, Yang ha messo in pratica la sua competenza economica nella gestione del suo harem.
Alla concubina più efficiente ha affidato la contabilità per le altre sei, e ognuna riceveva regolarmente una pagella di valutazione del suo rendimento a letto. Ma l’arrivo di una nuova compagna ha scatenato un crescendo di gelosie che hanno portato alla denuncia e alla caduta del boss. Perché naturalmente in questa classifica sono finiti solo i casi che il regime ha deciso di scoperchiare e castigare, la punta dell’iceberg. Il fenomeno delle seconde, terze, quarte mogli in Cina denota una persistente diseguaglianza tra i sessi. Solo di recente, con la diffusione del benessere, si segnala anche il fenomeno inverso: ricche imprenditrici, o mogli di miliardari trascurate dai mariti, “affittano” per migliaia di euro al giorno giovanotti di bella presenza che le accompagnano a fare shopping, al ristorante, in discoteca e naturalmente nel dopo-discoteca. Ma è ancora un fenomeno minoritario. L’infedeltà maschile sembra provocare una riprovazione etica e sociale meno forte dell’infedeltà femminile. Il dilagare delle concubine è uno degli ingredienti che spiegano il crescente successo delle serie televisive sulla storia imperiale.
In questo momento in testa agli indici di audience c’è un telefilm di 80 puntate dedicato al secondo imperatore della dinastia Tang. Gli episodi che hanno il massimo ascolto sono quelli che descrivono le complesse lotte di potere tra concubine e cortigiane. Dietro le elaborate scenografie d’epoca il pubblico deve aver colto un sapore di attualità. Va detto, comunque, che la cortigiana ha sempre occupato un posto essenziale e di prima importanza nello spazio della Cina urbana. Se da una parte si possono rintracciare all’interno di questo spazio le prime avvisaglie di una emancipazione, dall’altra, la stessa immagine della cortigiana fu sufficiente nella letteratura, nella stampa, nella prima filmografia cinese, nell’arte e nella pubblicità, ad essere veicolo di modernità o quantomeno a diffonderne le spore. La cortigiana era il tipo di donna maggiormente visibile in Cina a causa di una rigida separazione tra i sessi in cui il ruolo della donna appariva molto limitato e costretto. Benché durante la dinastia Qing si fosse sviluppata progressivamente un’atmosfera di verecondia ed una soffocante censura della cultura sessuale cinese, questa inibizione sociale della sessualità nella sfera pubblica non ne pregiudicò comunque la percezione favorevole nel suo vissuto quotidiano.
Nella cultura cinese la sessualità aveva una connotazione fortemente positiva, fu con il neoconfucianesimo di epoca Song che si iniziò a coprire la vita sessuale di un certo puritanesimo di cui, in ogni caso le donne rimasero il principale bersaglio. Le donne erano vittime di un sistema che sì le proteggeva ma di fatto le segregava all’interno dell’ambiente familiare. In ciò il mondo delle cortigiane rappresentava una eccezione: frequentare prostitute non era visto come un fatto anormale della vita sociale, a vita degli uomini tra le classi elevate era marcata dalla frequentazione delle loro case dove avvenivano incontri “normali” tra uomo e donna, lontani dai matrimoni combinati, liberi dall’etichetta confuciana. Solo nelle case di cortigiane i membri dell’élite potevano provare le nuove sensazioni di un legame intenso dove benché fossero sempre in gioco il tempo, il denaro e il prestigio, i sentimenti potevano assurgere al ruolo di protagonista. Nella Shanghai che si schiuse tramite mezzi coercitivi al commercio internazionale, si venne ad assistere ad una crescita esponenziale delle attività, ad una proliferazione della popolazione, ingigantita anche da successive ondate di profughi oltre che in virtù del naturale magnetismo esercitato dalla città portuale.
Questa situazione ebbe come risultato una rapidità della domanda di beni e servizi cui non sfuggirà neppure questa “beautiful merchandise” : la cortigiana, modello di donna che si evolverà, diversificherà e verrà commercializzato a tal punto da far risultare la prostituzione onnipresente nel tessuto urbano. In questa abnegazione totale al commercio di Shanghai, tutte le categorie di persone appartenenti ad un vecchio mondo vennero spinte verso il basso e, complice l’abolizione del sistema degli esami e il disfacimento dell’impero, si passò da una società basata sullo status e dominata dalla classe dei mandarini (funzionari-letterati), ad una fondata sul denaro, capitanata da mercanti e avventurieri intraprendenti che in questa eldorado andranno a formare una nuova classe borghese. La società cinese era molto più rigidamente stratificata a metà dell’ottocento di quanto giungerà ad essere nelle prime decadi del novecento, ma a Shanghai, che da città cinese tradizionale diventerà una metropoli appartenente ad “un’altra Cina”, moderna cosmopolita e aperta al mondo, le cose raramente sono ciò che sembrano e anche parlare di status sociale è ambiguo.
Questo ampliamento della città, dei traffici, degli affari, nonché questa ipertrofia della prostituzione, sono senza dubbio da correlarsi con le concessioni che si impiantarono a Shanghai come conseguenza della guerra dell’oppio e del trattato di Nanchino del 1842. Prima gli inglesi, poi francesi e americani, ottennero molteplici privilegi, fra tutti, quello di bucare l’impero e di penetrarvi finalmente con le proprie merci e quello di acquisire intere porzioni di territorio sotto la loro completa giurisdizione. Nel caso di Shanghai queste zone occupavano l’area centrale della città, lungo la riva nord-est dello Huangpu, il fiume che l’attraversa. La città risultava così divisa in tre parti : la concessione internazionale, la concessione francese e la municipalità cinese. Fu proprio questo policentrismo amministrativo che incoraggiò anche ogni sorta di attività illegale, criminale e delittuosa. Una gigantesca Shanghai nera, ombra stessa della metropoli, una tentacolare connection tra autorità e bassifondi che coinvolgeva tutti: consoli, banchieri, mercanti, notabili e società segrete.
Basti pensare che le fondamenta del mastodontico commercio dell’oppio erano state gettate un anno prima che si stabilissero le concessioni nella città e che le più grosse banche e aziende straniere vi giocavano un ruolo preponderante. Inoltre, la stessa accumulazione primitiva dei capitali, necessaria all’avvio di una società capitalistica, a Shanghai derivò proprio da tutte quelle operazioni che sfuggivano al pesante controllo burocratico e fiscale sull’economia mercantile e proto industriale messo in atto dalla dinastia manciù, dallo sviluppo quindi di attività sotterranee quali il contrabbando. Shanghai era una città con un motore che funzionava ad oppio. I gangster erano alla ribalta, lo stesso Chiang Kai-shek diverrà membro della famigerata banda verde. Nella Shanghai a cavallo tra i due secoli si vedono sfumare i confini tra legale ed illegale, così come quelli tra reale ed irreale, realtà e fiction. Non a caso si menziona la fiction dal momento che tutte le fonti sono finzioni, mimesi e rientrano per la loro stessa natura all’interno di questa categoria. La documentazione storica infatti non esce dalla voce delle prostitute, sia che la prostituzione sia vista come origine di piaceri urbanizzati, come pericolo morale o causa di malattie veneree, o come dolorosa e unica scelta economica.
Per questo le fonti sono “gender-bounded”, ciò che si può leggere e vedere sull’argomento è di derivazione prettamente maschile. Non solo, il discorso sulla prostituzione è stato spesso strumentalizzato e visto come simbolo di ogni male. In Francia nel corso del XIX secolo, la prostituzione è stata additata come punto focale di tutte le delusioni collettive ed ansie della società nonché come senso di minaccia alla supremazia maschile. Negli Stati Uniti agli inizi del XX secolo il discorso si spinse oltre con angosce che comprendevano l’immigrazione senza limitazioni, l’anonimità delle città, la crescita della cultura urbana e della classe lavoratrice e soprattutto il cambiamento del ruolo della donna nella società. Anche in Cina ciò che venne scritto sulla prostituzione è spesso da interpretarsi come forma di nostalgia, un riferimento ad una irraggiungibile età dell’oro, e come metafora di crisi. Essendo le fonti spesso frutto di una visione e di un linguaggio convenzionali, sono da considerarsi come prodotto di un convincimento largamente condiviso dall’élite, una accettazione generale e soprattutto acritica della prostituzione, come suggestioni.
Anche quando la documentazione storica è di origine legale o costituita da rapporti medici susseguenti campagne di registrazione o di abolizione della prostituzione, è arduo ritenere queste fonti non equivoche o meno edulcorate. I dati che ne conseguono sembrano più fotografare l’ambiguità del marasma shanghaiese. Il materiale più vivo e che offre un ventaglio più ampio di conoscenze è dato principalmente dalla letteratura e dalla stampa. Che si tratti di un genere dalla tradizione venerabile come la letteratura su cortigiane o di nuovi supporti quali la stampa e il cinema, ogni produzione a Shanghai risente di un clima febbricitante di cambiamento e della circolazione di nuove idee, tipici di quegli anni. Il giornalismo che fiorì a cavallo tra i due secoli ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione di concetti inediti e nella nascita e diversificazione della cultura urbana. A Shanghai esisteva una sorta di stampa specializzata, la “mosquito press”, che ruotava attorno alle case di piacere, ricca di annunci, gossip, eventi, notizie, pubblicità, da cui traspira l’aria liberale e libertina della città.
Altre indicazioni si ricavano dalla lettura delle cosiddette “guide del mondo galante”, che attraverso un linguaggio quasi sempre stereotipato, davano ampi ragguagli circa l’etichetta da seguire al fine di irretire le cortigiane, benché il successo di questo corteggiamento non fosse mai scontato. La donna diventa simbolo di urbanità e incarnazione di questa atmosfera febbrile e prolifica anche nel cinema. Nelle prime pellicole emersero tutte le nuove possibilità concesse alle donne del tempo, in bilico tra libertà apparente e il condizionamento e la subordinazione alle regole di una società paternalistica. Alcuni storici hanno affermato che il subalterno è afasico e in quanto tale non ha storia, e inoltre, se donna, è ancor più relegato nell’ombra. enché la voce della cortigiana non sia udibile, se ne cercherà l’eco grazie alle infinite connessioni degli ingranaggi della macchina shanghaiese, anche come via per dare storia al soggetto. Nel caso di Shanghai e della prostituzione non è solamente impossibile allontanarsi da queste concatenazioni ma anche indesiderabile produrre un singolo racconto senza giunzioni e relazioni.
Tanto più che nella Shanghai avente status semicoloniale, ogni cinese è subalterno rispetto a qualcuno, anche se ovviamente i gradi di oppressione sono differenti. È più sfruttata una operaia filatrice di cotone che guadagna dagli otto ai dieci yuan al mese o una prostituta che ne prende due, tre a prestazione? Eccetto la visione moralistica che fa classificare la prostituzione come un’attività più vergognosa e al di là della sola riflessione economica che porta ad un’impasse, si terrà conto delle altre variabili, la principale delle quali è sotto quale status la donna praticava l’attività e che grado di controllo manteneva sulle condizioni di lavoro. La prostituzione è una costante della società umana ed è legata alla sessualità, una dimensione spesso tralasciata dal lavoro degli storici più che esserne considerata come essenziale. La prostituzione è anche specchio di tutte le trasformazioni sociali poiché l’ambiente prostituzionale è un’interfaccia tra la buona società e gli strati più bassi e devianti che la compongono: fa luce su tutta una serie di elementi quali relazioni sociali, significati sessuali, identità culturali e politiche, sulla condizione della donna e sul suo ruolo.
Benché la prostituzione riguardi sempre la vendita di servizi sessuali, i molteplici significati che le si attribuiscono, richiedono che si vada al di là della referenza di “più antica professione del mondo”. Le cause dell’ipertrofia prostituzionale che caratterizza Shanghai all’inizio del XX secolo non sono da ricercare nella miseria delle campagne, nell’attrazione che esercita l’opulenza della città, nella cupidigia di mercanti di esseri umani poiché questi fattori hanno solo esacerbato il fenomeno. La prostituzione risulta da un combo di elementi di natura e di cultura. Gli argomenti di natura, la libido maschile, non sono una spiegazione, nessun atto sfugge ad un condizionamento culturale, solo l’atto sessuale primario è un atto di natura ma non le condizioni della sua realizzazione. La prostituzione nasce da una ineguaglianza tra i sessi marcata da una impronta culturale che ha messo la donna in uno stato di subordinazione.