Sul tema della procreazione, più volte mi sono chiesto quale sia, se c’è, l’elemento comune tra: il disegno di legge in discussione, che di fatto limita, anziché favorire la vita; le metodiche di riproduzione assistita sempre più affinate, ma spesso sempre più lontane dagli affetti; il desiderio di molte donne e uomini di generare un figlio e la difficoltà con la quale essi entrano in contatto. 

Sento poi che tutte queste parti, apparentemente scisse e lontane tra loro, mi somigliano molto e mi appartengono. Anch’io spesso mi ritrovo a legiferare per me stesso in maniera coartante, a far prevalere la “tecnica” per rassicurami, a contattare il desiderio e la grande difficoltà di realizzarlo. Se scendo un po’ più in profondità dentro me stesso mi ritrovo a contattare due elementi base, oltre i quali a volte non sono capace di scendere: percepire il piacere prorompente della vita, le onde dell’oceano delle mie emozioni e la paura, a volte panica, che tutto questo mi provoca. Desiderio-movimento-piacere-paura-stasi: questa è l’equazione, ridotta ai minimi termini, che scopro spesso muovere e, al contempo, immobilizzare me stesso e il mondo. Allora penso che occorre fare una rivoluzione cartesiana, una capriola, una giravolta su se stessi ed attraversare il canale delle difficoltà e della paura, così proprio come fa un bambino quando vuole nascere, e per attraversare quel canale occorre spesso essere aiutati e guidati. Penso poi che chi si occupa dei disegni di legge, delle tecniche di riproduzione assistita al pari di chi incontra la difficoltà della procreazione, non sono altro che uomini e donne, ovvero persone.

Persone con le proprie emozioni e sensazioni. Emozioni e sensazioni dalle quali spesso ci difendiamo. Ecco allora che ci corazziamo dietro emendamenti, camici bianchi o scrivanie ordinate, così come aveva genialmente intuito, nella prima metà del secolo scorso un certo Wilhelm Reich, allievo di Freud e padre delle odierne psicoterapie corporee. Tornando al centro, al nucleo energetico, vitale ed esistenziale di ciascuno di noi, è possibile, quasi magicamente, veder annullate tutte le scissioni che, in superficie, ci separano. Occorre dunque fare quella giravolta e scendere in profondità; considerare sempre tutte le parti, non escluderne nessuna. Parti che, fuori di me, ritrovo anche oggi qui riunite a discutere nella loro diversità. La diversità che quando non diviene opposizione crea il movimento e il “motu est vita”. Ecco quindi che nel discutere una legge che riguarda l’origine della vita, bisognerà tener presenti tutte le componenti in gioco. Mi domando quanto i cittadini e le cittadine che si rivolgono a queste metodiche di procreazione siano stati contattati, anche attraverso le Associazioni che li rappresentano, quanto sia stata considerata la comunità degli psicologi, tanto per riportare il tutto a ciò di cui mi occupo quotidianamente, quanto anche sia stato ascoltato il parere di biologi e di ricercatori, viste le limitazioni imposte alle metodiche.

Ad esempio, leggendo il Disegno di Legge si evince che ci si può avvalere dello psicologo per informare sugli “effetti collaterali” (letteralmente) conseguenti l’applicazione delle tecniche (Art. 6 – consenso informato). Già proprio “effetti collaterali” come se si trattasse di una prescrizione farmacologica, ricacciando lo psicologo nel deleterio ruolo di quello capace di comunicare notizie dolorose: oltre allo strizzacervelli o al “ma mica siamo pazzi che dobbiamo fare il colloquio” ci mancava anche questa per ledere, nell’immaginario collettivo, la nostra funzione. Occorre quindi, con la solita magia, fare la giravolta e tornare in profondità, nel luogo dove originano tutte le cose. Lì troviamo nuovamente il desiderio. Il desiderio di molte donne di divenire madri, ma anche il desiderio di molti uomini di avere un figlio, e del desiderio di paternità ancora molto poco si parla. E il desiderio non può avere effetti collaterali se non la paura di realizzarlo. Ma in politica il desiderio e l’affettività sono parole ancora poco conosciute. Si confonde spesso il desiderio con l’inquilino che gli abita al piano di sopra: il bisogno.

Di questo ci si occupa spesso e del bisogno di un figlio sembra occuparsi la legge, tanto che, durante la fase del consenso informato, occorre proporre “in alternativa” l’adozione o l’affido. Come dire: “Se proprio hai bisogno di un figlio e non riesci a farlo, puoi averne uno già fatto”, come se le due cose, adozione o fecondazione assistita, fossero proponibili tout court in alternativa, senza poter accompagnare le persone verso scelte così profonde e diverse tra loro. Torno quindi alla funzione dello psicologo nelle équipes della fecondazione assistita. Da tempo le nostre Associazioni, Madreprovetta e la SEOr AIPeF, stanno proponendo l’integrazione dello psicologo e dello psicoterapeuta all’interno delle équipes di lavoro, in maniera tale da offrire quegli strumenti affinché gli utenti possano fruire della giusta accoglienza al proprio desiderio/progetto, affinché essi possano acquisire la capacità di conoscere, esprimere e canalizzare le proprie energie creative, affinché essi possano essere accompagnati durante tutto l’iter dei trattamenti. Ricordo anche che nella nostra proposta è contenuto il fatto che la funzione dello psicologo debba esplicitarsi anche all’interno della stessa équipe: Negli stessi operatori si attivano emozioni potenti, non sempre esprimibili, in relazione alla delicatezza e alla profondità del loro operato.

Mi sembra quindi di poter intuire delle chiavi per ricomporre quell’unità spezzata dentro e fuori ciascuno di noi, una via possibile per consentirci quel passaggio da una fecondazione medicalmente assistita, così come prospetta la legge, ad una fecondazione terapeuticamente assistita, così come ho sentito, proporre, circa due anni or sono in un convegno analogo da Francesco Dragotto. Proposta che fu accolta favorevolmente dai presenti, ma di cui si persero poi le tracce. Certo sarà bello il giorno in cui un qualsiasi Parlamento del mondo arrivasse a licenziare una legge per una riproduzione o, meglio ancora, per una genitorialità affettivamente assistita. Tutto ciò rappresenta una strada concretamente praticabile per andare dall’angusta via dei figli della provetta, al viale arioso e alberato dei figli del desiderio.

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