Due modi di vivere il dolore dei lutti
Personalmente è come se avessi perso il mio amico più caro, una sensazione che solo chi ha vissuto Michael fino in fondo può comprendere. Tutti abbiamo la nostra storia: c’è tra voi a chi ha dato speranza, a chi ha dato energia, a chi ha dato forza nei momenti bui e gioia per celebrare i momenti più belli. Proprio come un amico ci è stato vicino nei momenti positivi e negativi in ognuna delle nostre storie. E proprio come un amico ci ha fatto anche arrabbiare, preoccupare e incasinarci per rimediare i soldi per andarlo a vedere chissà dove inventandoci le peggiori funambolesche capriole per “mettere nel sacco” i nostri genitori o i nostri datori di lavoro. Un amico che dà chiari e scuri ma dalla cui somma ne esce un bellissimo quadro.
Affermare ciò che Michael rappresenta per noi (badate bene, non a caso parlo al presente) è banale come affermare quanto possa essere luminoso il sole, dunque non mi dilungherò su questo fatto. Vorrei riflettere sul dolore che stiamo provando. Il dolore, caso non certo nuovo, fa parte della vita, inutile negarlo. Il punto è: cosa ci vogliamo fare con questo dolore? Le strade sono due: 1) assumerlo come una cattiveria della vita, chiudendoci e facendo aumentare la nostra diffidenza nei confronti della vita;
2) viverlo, entrarci dentro, sentire quanto fa male ma cominciare a elaborarlo, minuto dopo minuto, giorno dopo giorno in modo da trasformarlo per assumere una nuova conoscenza e realizzare bellezza nella vita.
Nessuno può sapere veramente cosa sentiva Michael in genere e in particolare nel suo ultimo periodo. Possiamo fare solo ipotesi più o meno verosimili. Una cosa è certa: il dolore di questo bambino per un’infanzia senza amore paterno. Un dolore sommesso, ormai seppellito sotto gli anni e sotto delle responsabilità sempre crescenti. Potremmo tutti dire “poverino, quanto ha sofferto” e finire così la nostra considerazione.
Io vi propongo un’altra chiave di lettura. Michael ha coinvolto milioni di persone perché, forse inconsapevolmente, è riuscito a trasformare il dolore che aveva dentro in qualcosa di meraviglioso tramite ciò che sapeva fare meglio. Ha comunicato a tutti un messaggio fra le righe, codificato, che a livello esistenziale (pur non essendo consapevoli) i fans hanno colto. Una madre non ha bisogno di comunicazione verbale e logico-razionale per comunicare col suo figlioletto: tra Michael e noi è avvenuto questo. Egli ha creato bellezza, meraviglia, energia, coralità tra i popoli. Ho visto gente che parlava lingue diverse ballare le sue canzoni, ho visto i detenuti di un carcere danzare in suo onore etc etc. Il suo messaggio di trasformazione del dolore è arrivato sulle ali della musica dappertutto, in ogni luogo. Siamo noi ora che dobbiamo, simbolicamente, farci promotori della sua modalità. La Vita (ognuno interpreti questa entità secondo il proprio credo, non fa differenza) ci chiama a portare avanti il suo progetto di trasformazione del dolore ma con una acquisita coscienza di tutto ciò.
Ecco cosa ci possiamo fare col dolore! Siamo invitati a trasformarlo, a fare della Vita un’opera d’arte come ha fatto lui. Nel nostro grande-piccolo possiamo fare moltissimo. “Make the change” [il ritornello di “Man in the mirror”, una sua canzone che incitava al cambiamento interiore] possono solo essere delle parole oppure avere un significato immenso. Diamo NOI a queste parole il significato che meritano, diamo NOI a questo dolore che proviamo uno scopo: quello di farci crescere, di diventare uomini/donne più maturi/e. E’ prezioso quello che possiamo fare, non facciamocelo portare via dal vittimismo, dal pessimismo gratuito, dalla rabbia. Potremmo un giorno, ad esempio, capire meglio i nostri figli se dovranno affrontare una separazione o un lutto. E in tal modo avremmo interrotto la catena di odio e di mancato amore nella quale era invischiato il padre di Michael. Michael ha avviato un processo di trasformazione, noi portiamolo avanti. Non solo la sua musica sarà immortale così ma il suo progetto stesso. E’ con affetto che vi abbraccio tutti, sentendo profondamente ciò che provate. Nessuno qui esalta il dolore come modello di vita, nessuno è masochista: si tratta “solo” di fare una scelta. Dolorosa, difficile, in salita, certo, ma è una scelta che creerà bellezza, come quella creata da Michael. Ora siamo a terra; abbiamo ricevuto un cazzotto nello stomaco e siamo a terra ansimando, senza respiro. Concediamoci il tempo che ci occorre, amiamo noi stessi come abbiamo amato lui. Consideriamo che le cose che abbiamo fatto per lui le abbiamo fatte NOI. Riconosciamoci questo potere, ci servirà per alzarci rinnovati. Provati, certo, ma rinnovati. Il dolore attanaglia la mente, tende a rifiutare qualsiasi considerazione positiva. Ma fidiamoci di questo: confidiamo che supereremo questo momento. Qui non c’entra la logica: usiamo la fede, il coraggio e la speranza. A ben poca cosa servono le disquisizioni su come se ne sia andato e ancora meno il pensiero “che importa, tanto ormai è morto!”. In questo modo daremo valore solo alla sua morte, attenzione! I più grandi pensatori dei nostri tempi affermano che “l’opera d’arte derivata dalla trasformazione del dolore è di una bellezza immortale”. Un quadro non è fatto solo di chiari o solo di scuri, ma dell’insieme armonioso di questi. E noi siamo i pittori. Oltre il dolore straziante ci può essere una nuova alba e ognuno di noi può essere portatore di questa nuova forma di pensiero. Solo così Michael vivrà davvero in eterno.