Perchè in ufficio conviene prendere le scale
Nicholas White, 34 anni, responsabile della produzione del settimanale Business Week entrò in ascensore la sera di un venerdì dell’ottobre del 1999 e ne uscì la domenica pomeriggio, esattamente 41 ore dopo a causa di un non meglio precisato “guasto” alla cabina. Inutile raccontare qui la sua angoscia e le interminabili ore trascorse là dentro, per chi lo volesse, la traduzione dell’articolo di Nick Paumgarten, The New Yorker è apparsa su Internazionale n. 755 del 1° agosto 2008. Quello che invece ha colpito maggiormente me in questo lungo ed interessante articolo sugli “ascensori” e che appunto cercherò di spiegare qui di seguito con l’estrapolazione di alcuni passaggi, è che, per sua stessa ammissione, White disse “che una sera è entrato in ascensore con una vita e ne è uscito con un’altra”. Durante le lunghissime ore trascorse là dentro, White, alla fine provava solo “una grande rabbia e un forte desiderio di vendetta”. Cominciò con il cercare un capro espiatorio… dov’erano tutti? Perché non l’avevano cercato? Di chi poteva essere la colpa? Chi avrebbe pagato per tutto questo? Prese subito la decisione che la settimana dopo non sarebbe andato al lavoro…e, stremato, si addormentò.
Fu svegliato da una voce e dopo un po’ gli addetti alla manutenzione lo fecero uscire. Sembrava un fantasma…… passò a prendere la giacca in ufficio e tornò a casa. La mattina dopo quando si svegliò trovò una valanga di messaggi in segreteria e un’orda di reporter accampati sulle scale. Per qualche giorno non uscì di casa e incaricò gli amici di parlare con i giornalisti. Ma è proprio qui che nasce la sua vendetta.
“White non tornò mai a lavorare alla Business Week. Circondato dall’attenzione di giornali e tv (che cercava di evitare ma trovava eccitante), incalzato dagli amici, cadde nella trappola della notorietà e del rancore, e poi in quella del sistema legale. Assunse un avvocato e stabilì con lui che rientrare al lavoro avrebbe dato un segnale di “equilibrio mentale” che avrebbe potuto rovinargli la causa. Passò otto settimane sull’isola caraibica di Anguilla. Alla fine la Business Week dovette licenziarlo. La causa che intentò, per chiedere un risarcimento di 25 milioni di dollari all’amministrazione del palazzo e alla società di manutenzione degli ascensori, durò quattro anni.
Si accordarono per una cifra che White non è autorizzato a rivelare, ma per sua stessa ammissione, non era molto alta, di certo non erano milioni. Nel frattempo White aveva perso il lavoro che aveva da quindici anni e i contatti con tutti i suoi colleghi. Aveva perso anche l’appartamento e speso tutti i suoi soldi nel vano tentativo di trovare un altro posto. Attualmente è disoccupato”. Oggi, ricordando l’episodio con una sorta di malinconico smarrimento, “comprende che non è stato l’ascensore a cambiargli la vita, ma la sua reazione”. Ormai ha superato il trauma di quell’esperienza, ma non si è mai perdonato per aver deciso di intentare causa invece che di tornare al lavoro. “Quella decisione, non l’ascensore, è stata la vera trappola”.
E ora arrivo al dunque. Perché ho voluto raccontarvi questa storia che ho letto e che mi ha tanto colpito? Cosa mi lega a questo episodio? Che nesso ha con la mia personale esperienza? Spesso, durante i corsi che ho frequentato e che frequento tutt’ora o nelle riunioni per la preparazione e la lettura dei film, ci veniva chiesto di partire da una nostra esperienza ed io in questo ho sempre provato molta difficoltà.
Scrivere ancora qualcosa di personale? Ma ormai i nostri vissuti si conoscono a menadito! Meglio parlare di altri, le loro storie saranno senz’altro più interessanti. Sbagliavo. C’è voluto l’articolo sugli ascensori per farmi capire che si può anche raccontare degli altri ma dentro le loro storie ce n’è sempre un po’ della nostra. Ed in questa? Cosa c’è della mia? Tutti i santi giorni dal 2000 (anno della privatizzazione della mia Azienda) io mi sveglio al mattino cercando un “capro espiatorio”, sono piena di rabbia per come sono andate le cose, non tanto per come sia cambiata la “mia Azienda” ma per quanto profondo è stato il suo cambiamento, fantastico di portare la nuova proprietà in tribunale, di chiedere un indennizzo stratosferico per qualche ipotetico danno subìto, insomma di “fargliela pagare”. Sì, ma per cosa se non mi hanno mai fatto nulla?
“Troppa gente è convinta che gli sia capitata la mano sbagliata” dice Mitch (Morgan Freeman) ad Einer (Robert Redford) nel film “Il vento del perdono” e anch’io per lungo tempo ho pensato questo : anch’io credevo che mi fosse capitata una mano sbagliata.
L’articolo sugli ascensori e soprattutto il mio percorso personale invece mi hanno fatto comprendere che in realtà non è un’azienda, non è un ascensore a cambiarti la vita ma è solamente la tua reazione.