Perchè e come innamorarsi di Dio
L’amore comprende una forma di evidenza, d’immediatezza, e questa contempla, vuole e conosce uno spazio pieno infinito, che non si arresta ai confini della ragione e della morte. L’amore suggerisce che la volontà, l’intuizione, l’immaginazione, si arricchiscono, se condividiamo l’amore verso l’universo. La mia percezione dell’ambiente interiore ed esteriore, dipende completamente da come mi formo, da che cosa voglio pensare e sentire, da come mi collego con il mio centro, da come sento sgorgare dentro di me le forze divine dell’amore. Ecco un’esperienza che posso verificare interiormente. Posso anche invitare gli altri a sperimentare. La realtà non sta ferma. Le facoltà che ci attribuiamo non rimangono lì come oggetti disponibili, immutabili. Possono essere allenate e stimolate, e certamente parleranno diversamente in chi si muove, rispetto a chi preferisce subirle passivamente.
Il viaggio interiore mi ha permesso di sentire la presenza dell’amore come una potenza divina che entra in me, che mi ama, che mi attraversa, mi parla, mi stimola. In che senso posso parlare di Dio, rimanendo alla mia intuizione, alla mia percezione? Certamente il concetto del divino simboleggia una freccia che indica una direzione possibile, una forma di presenza intuitiva, una manifestazione del cuore, una conseguenza degli stati di entusiasmo e di felicità, una sensazione di una grande potenza, molto libera, creante, infinita.
Ma non riguarda una forma di oggetto, sia pure un oggetto supremo, che sta lì fermo, pronto quasi a farsi fotografare dall’uomo, attento a rispondere alle domande di verifica di un pensiero scettico.
Il cuore manifesta la propria conoscenza, la propria sapienza, superiore alle misure del pensiero razionale astratto. Se non integriamo la mente nel nostro sviluppo totale, la ragione ci parlerà sempre di una forma di conoscenza solitaria, isolata, impotente. Riflette una solitudine all’interno del nostro mondo, dove si oppone alla volontà, al sentimento, all’intuizione. Cerca di rimediare con una strana alleanza, la ragione d’accordo con la società, contraria al mio essere profondo, all’evoluzione creativa del mistero, alla convivenza con l’infinito. Ma io posso provare, ognuno di noi, se vuole, può provare. Che cosa? A mettere tutto in discussione, per aprirsi un varco, per uscire dalla cultura conosciuta, dal sistema dominante. Soltanto alimentando e coltivando le mie intuizioni interiori posso ascoltare e riconoscere un mondo completamente diverso. Può avvenire che tutte le proporzioni, le prospettive ed i significati tendono a rovesciarsi, a vivere un assurdo come reale, a vivere in fondo un’improvvisa pazzia del nostro stesso mondo.
Come se noi fossimo talmente abituati ad un certo modo di sentire e vivere la vita, ad un certo modo di pensare, che qualsiasi altra realtà potrebbe incontrarci e rivelarci improvvisamente le assurdità basilari della nostra vita. Se qualcuno poi volesse cercare di rimettere insieme i pezzi del mosaico, potrebbe non riuscirci più, e le diverse assurdità continuerebbero a vivere in conflitti armonici senza comunicazione.
L’amore e l’innamoramento ci rivelano già una logica che potrebbe costituire la base per un mondo completamente diverso. La prima percezione riguarda questa potenza sovrabbondante, intima, felice, indipendente, strana, che ci avvolge, ci stimola, ci chiama. Cerco di tenere ferma questa percezione, fino in fondo. Ed essa mi parla. Sento che riguarda qualcosa che è intimamente presente nel profondo di me stesso, che è più intimo che qualsiasi altra cosa o percezione. Ma ugualmente sento che non è immediatamente a mia disposizione, anche se, senza dubbio, posso riuscire a vivere in modo da avvicinarmi meglio a questa fonte. Sicuramente è una fonte di libertà, di promessa, di una promessa già mantenuta, di un invito all’amore, al piacere, al gioco, all’avventura, alla potenza.
Questa percezione mi parla del profondo me stesso. Ma mi parla anche di altro. Non sembra esistere soltanto dentro di me. Sembra quasi un’entità potente, dolce e misteriosa, che per vivere debba convivere, estendersi, abitare, in tutti gli esseri. Un qualcosa presente in me, ma presente anche altrove, un altrove infinito, misterioso, vivo, mutante, trasformantesi. Mi vengono in mente tante cose. Le sensazioni che vivo quando amo, quando gioco, in cui non sembro più limitato al mio io, chiuso nella pelle, ma in cui sono attraversato, sono espanso, e sono in contatto con gli esseri più diversi. Non ci sono parole. Ma senza dubbio i racconti dei miti e delle fiabe possono darci qualche indizio, anche se subito distorti nella mentalità umana. Quale mondo mi appare? La presenza delle fate e dei maghi, un mondo come un teatro ed una palestra per le forze del bene e del male, per le alchimie della trasformazione, per il gusto della creazione. Un mondo di sfide, di presenze nascoste, di enigmi, di misteri, d’incanti. Un mondo di prove e di donazioni, di difficoltà e di premi, di gioia e di canto.
Gli esseri superiori che vengono a collaborare con noi, le alleanze con gli animali e con le piante, una realtà a diversi livelli di manifestazione. Le facoltà umane si svegliano attraverso la curiosità, il gioco, l’avventura, la generosità, la tensione dell’impresa e dello sforzo.
L’esperienza interiore che desidero manifestare riguarda un qualcosa di molto preciso, che non sembra diffuso, né nelle religioni tradizionali, né nelle forme della nuova spiritualità. Da un certo punto di vista sembra a tutti di conoscere e di sperimentare la percezione del divino. Tutti conoscono l’ipotesi che possano esistere le fate, gli spiriti sottili, gli angeli, gli spiriti guida, fino agli dei, alla dea, alle presenze più direttamente divine. Ammessi talvolta come vaghe ipotesi, ammessi come aspetti particolari della fantasia, che possono piacere a poche persone, ammessi in parte nelle fedi religiose, le figure divine non sembrano costituire certamente una fonte per una forma d’innamoramento di massa, stimolato da qualcosa che si sente appartenere all’ordine della felicità, della meraviglia, dell’entusiasmo, dell’ebbrezza.
Presento l’ipotesi, che sento interiormente, che ci si possa innamorare di Dio, del divino. Lasciamo scorrere via l’immagine tutta umana del Dio maschile, paterno, giudice, legislatore, autoritario. Liberiamo il sentimento del divino da tutti gli accumuli storici del potere religioso, del potere sociale-morale, della repressione degli istinti e della fantasia, dalle tendenze a rinunciare al mondo, al piacere, alla felicità. Liberiamo la percezione del divino dalla noia, dai riferimenti abituali, dalle esigenze moralistiche. Liberiamoci anche dalla presunzione umana, dal persistente antropomorfismo, dal sentimento di debolezza e d’impotenza, dall’orgoglio nichilistico, dalla continua esigenza di volere verificare razionalmente noi qualsiasi cosa, prima di ammetterne sia pure l’ipotesi o il desiderio. Ma una delle percezioni più radicate, talvolta anche nei nuovi movimenti religiosi, riguarda l’invito insistente all’autonomia personale. Il proposito di riportare il divino all’umano, di sentirlo dentro di noi, è senza dubbio positivo, ma soltanto se superiamo l’apparenza superficiale dell’uomo, soltanto se ci inoltriamo in un processo di trasformazione che porti a risvegliare la scintilla divina presente in noi.
Si verifica uno strano processo. Anche ora che alcuni pensano di riportare il divino dentro di noi, non si sente in atto un processo di trasformazione che porti a sviluppare al massimo le potenzialità umane, fino a scoprire ed a sviluppare i doni divini presenti in noi. Non esiste oggi diffusa una visione eroica del divino, intesa come slancio, come apertura, come divinizzazione dell’uomo.
Quando si presentano immagini di mondi superiori abitati, di spiriti sottili, di spiriti guida, di esseri evoluti, di figure divine, sembra sorgere subito il timore che tutto questo tolga qualcosa all’autonomia umana del suo sviluppo divino. Non pensiamo neppure ora di sviluppare le potenzialità divine. Ma pensare che esistano anche oggettivamente, al di là di noi, extraterrestri superiori positivi e gerarchie spirituali, fino alle forme dirette del divino, sembra che necessariamente rappresenti un pericolo od un limite per l’autonomia umana. Non si vede evidente davanti all’uomo la possibilità che emerga un modo completamente diverso di sentire il divino, come fonte positiva infinita di felicità, di meraviglia, di entusiasmo.
Qualcosa di quello cui alludo esiste nell’amore mistico, ma accompagnato ancora spesso dalla percezione dell’impotenza umana. Ora si tratterebbe di risvegliarci come dio che ama dio: amare Dio come Dio che ama Dio. Entriamo nel sentimento e nell’immaginazione, ma entriamo anche in un pensiero nuovo, creativo. Immaginiamo che finalmente l’uomo si accorga che non esista la morte come annullamento dell’individuo, ma che il fenomeno rappresenti soltanto un passaggio di stato, un abbandonare il corpo e l’universo corrispondente, per assumere un’altra forma, in un’altra dimensione. La sostanza rimarrebbe molto precisa, e piena di significato: la persona continuerebbe a vivere nelle altre dimensioni, assumendo le caratteristiche dei nuovi ambienti, per poi ritornare consapevolmente ad incarnarsi, vivendo quindi molte vite, che accompagnano la sua evoluzione verso il divino.
La reazione umana tende a vedere questa possibilità come un pio desiderio, o come una consolazione, un appoggio, una speranza. In realtà la visione della vita assumerebbe significati, possibilità e responsabilità molto profondi, verificabili, conseguenti.
S’intuirebbe ciò che nel profondo sappiamo, che esiste la vita, non esiste la morte. Quindi tutto continua, anche se chiaramente i mutamenti da una vita all’altra rappresentano anche delle novità radicali, degli abbandoni dei piani materiali ed immediati, per cui le persone troppo attaccate alla quotidianità terrestre, vedrebbero comunque il mutamento come qualcosa che li possa annullare.
Bene, abbiamo impostato una nuova visione. Io so e sento che la mia persona, come tutti gli esseri che mi circondano, sono in viaggio, vivono, provengono da lontano, vanno lontano, come me stesso. Posso quindi averli incontrati in altre forme, in altri mondi, in altri momenti della vita della Terra. Il respiro dell’amore divino, del sentire il dio e la dea che ci ama, del sentire il nostro amore per Dio, assume chiaramente in questo modo la possibilità della presenza nell’infinito e nell’eterno. Non si tratta di chiedere ad un dio una felicità nei prossimi mondi, ma di vivere e di maturare già qui, sotto la coltre delle apparenze finite, la possibilità di vivere e manifestare la potenza dell’amore divino.
Ampliamo ancora la visuale. Questo aspetto forse dovrebbe essere anche più facile del primo. Vediamo le stelle: immaginiamole circondate da pianeti, dove esseri sia simili a noi sia molto diversi da noi, vivono esperienze e vite completamente diverse dalle nostre. Sentiamo la curiosità ed il fascino d’immaginare mondi superiori dove la felicità e l’entusiasmo possano essere dominanti. Uniamo un altro fatto: immaginiamo che tutta la natura, le piante, gli animali, gli elementi, possano esistere dappertutto, sia nelle forme che conosciamo, sia in altre forme infinite. Immaginiamo che abbiano le loro forme di coscienza, d’intelligenza, che non conosciamo, che non possiamo verificare, ma che forse possiamo incontrare su altri piani dell’esperienza e del comportamento. Bene, andiamo avanti. Immaginiamo che tutti questi esseri non siano chiusi dentro se stessi, ma che abbiano la capacità d’irraggiare le loro energie e pensieri nell’universo. Immaginiamo fino in fondo che non siamo mai nel vuoto, che tutto è pieno. Anche quando viviamo soli fisicamente in una stanza, in un luogo, siamo sempre attraversati ed influenzati dal cosmo vivente.
Continuiamo ad immaginare. Altri esseri, sottili, diversi da noi, o superiori, come angeli e spiriti guida, o parenti ed amici nostri che vivono altrove, possono comunicare con noi, comunicano in ogni caso con noi. Altri misteri che ci possono essere svelati e comunicati, altre forme di presenza che possiamo vivere, realizzare. Certamente occorre abbandonare la richiesta di verificare tutto. Come può una parte di un tutto fermare la vita del tutto, per quasi fotografarlo, decidere che cosa possa contenere o no? Potremmo anche viaggiare con forme di astronavi fra molte stelle, non trovare nulla, ed esserci in realtà spostati soltanto all’interno di una piccola bolla dove preferiva esistere il vuoto.
Che cosa può volere dire amare la vita, in questo teatro diventato infinito? Se superiamo il piano mentale, e c’inoltriamo nel cuore, possiamo desiderare ed ascoltare, per sentire le voci dell’universo. Possiamo sviluppare le nostre antenne fino a sentire dentro di noi gli esseri che ci parlano. Possiamo innamorarci di queste presenze. Possiamo comprendere che sono dentro di noi e fuori di noi, sentendo la spontaneità dell’ammettere le porte cosmiche del mistero, sia a nostra disposizione, dentro di noi, sia nella possibilità di parlare e d’incontrare gli esseri del cosmo e d’altrove.