Cosmo-Art e il senso della vita
La mia presenza: mi nascondo o sono un valore per me e per gli altri?
L’opinione più comune è che il nascondersi sia una forma di timidezza o addirittura di umiltà, invece è esattamente il contrario. Senz’altro c’entra anche la timidezza ma è uno schermo dietro al quale, non ci crederete, si cela il nostro narcisismo. Perché ci nascondiamo? Lo facciamo perché rifiutiamo di metterci in gioco e non vogliamo rischiare di fare una brutta figura. Se restiamo belli nascosti chi mai si accorgerà di noi? chi potrà giudicarci? Non dovremo assumerci alcuna responsabilità, saremo al riparo da tutto e l’immagine che gli altri hanno di noi sarà salva.
Perché succede
Ma occorre andare a scavare molto più a fondo dentro di noi per capire la vera ragione per cui ci defiliamo dalla vita. Siamo stati desiderati? In quale momento della vita dei nostri genitori siamo stati stati concepiti? Possiamo ricostruire la nostra storia partendo da qui. Già all’atto del concepimento e durante la vita intrauterina noi riceviamo le prime ferite, è inevitabile: può essere anche solo una ferita di identità (nostra madre desiderava un maschio oppure una femmina e la vita non ha esaudito i suoi desideri) o una ferita che riguarda un eccesso di aspettative. Il feto non sa difendersi, si limita a rimuovere la ferita. E’ quando nasciamo fisicamente e cresciamo che poi sentiamo il dolore. La vita ci ripropone il nostro trauma primario nelle situazioni più diverse, sempre quello, ed è esaminando attentamente le situazioni critiche in cui ci veniamo a trovare che riusciremo a capire quali siano i nodi da sciogliere per cambiare la nostra storia. Quando mi nascondo?
Cambiare la nostra storia
Già durante la gravidanza di nostra madre può essere capitato che dovessimo soddisfare delle aspettative troppo grandi per noi, “mio figlio/a sarà perfetto/a …..sarà un medico eccezionale….mi amerà per sempre….farà solo quello che dico io”. Questi pensieri a volte inconsapevoli e apparentemente innocenti vengono però recepiti dal feto come richieste imprescindibili, spesso troppo pesanti per lui. Viene caricato di un peso eccessivo, viene privato della libertà di essere solo sé stesso e rimuove questo dolore. Già in quella fase recepiamo tutto ciò che proviene da nostra madre e dall’ambiente circostante. Alla nascita fisica il ricordo di questo peso eccessivo resterà dentro di noi come una ferita alla nostra identità, finché non si manifesterà di nuovo in varie circostanze della nostra vita.
Individuare la ferita
“Non sopporto questo peso e quindi mi nascondo” ci diciamo. L’essere stati caricati, già nell’utero, di troppe aspettative può portare con sé, nella nostra vita dopo la nascita, un forte senso di impotenza, di inadeguatezza, di svalutazione. Il “tu devi soddisfare tutti i miei desideri e riempire tutti i miei vuoti esistenziali” rispecchia una visione di figlio come appendice di sé, cioè il figlio viene vissuto come mezzo e non come fine a sé stesso, ecco dove sta il nodo da sciogliere. Troppo spesso specialmente in passato, un figlio/a veniva visto unicamente come il prolungamento dei genitori, nato solo per soddisfare le loro aspettative e questo produce una ferita che porta quasi inevitabilmente ad una ribellione o ad una fuga del figlio, dove per fuga intendiamo il nascondersi e l’annullarsi pur di non dover rispondere alle esigenze dei genitori, temendo di fallire. Ecco che cosa ci può succedere. Troppo grande è la sensazione di inadeguatezza che ci paralizza nel timore di deluderli o di deludere chiunque altro.
L’amore ci salva
Ancora una volta è l’amore per noi stessi che può aiutarci a sciogliere questo grande dolore, il dolore di sentirsi inadeguati, quello che ci porta a nasconderci. “L’arte di amare se stessi richiede un grande coraggio, che è il contrario della pigrizia. Il coraggio non lo si ha, lo si crea.” (A. Mercurio) Con grande coraggio e profonda umiltà possiamo imparare a metterci in gioco, a non sentire più così forte la paura di esserci e di agire, andando a scovare i nostri veri talenti, dandoci cosi un valore. Questo richiede una decisione, quella di amarci e di perdonarci per aver odiato i nostri genitori che ci hanno caricato di tante aspettative e poi anche di perdonarli. Loro hanno fatto tutto quello che potevano e ci hanno amato nel modo che conoscevano.
Volare
Ora noi possiamo prenderci la responsabilità di riparare e di sanare il nostro dolore. Tocca a noi ora rimboccarci le maniche: impariamo ad apprezzarci e ad amarci, sfruttando a pieno i nostri talenti, seguiamo i nostri sogni ed i nostri progetti senza paura, con forza e alla luce del sole.Trasformare il peso che a lungo ci siamo portati sulle spalle nella leggerezza dell’essere autenticamente noi stessi e realizzare i nostri sogni senza più nasconderci è quello che ci chiede la vita. Ci possiamo centrare sul progetto che la vita e l’universo hanno per noi e possiamo finalmente sentirci liberi di volare. Siamo tutti bruchi che possono trasformarsi in splendide farfalle, dobbiamo crederci.