giocatore stanco

Alcune riflessioni di Emanuele Chimienti sul dolore che verranno riprese e sviluppate in un prossimo volumetto dal titolo Antropologia Cosmoartistica

Dal radicale dar-dol = tagliare, spaccare, fendere, lacerare…, il dolore può essere definito come ciò che, in qualunque modo e intensità, interrompe il fluire del benessere della persona umana. Per benessere bisogna intendere il piacere che accompagna ciò che la Vita ha già realizzato; e per dolore l’afflizione che accompagna ciò che di irrealizzato la Vita incontra lungo la sua strada. Questo significa due cose: che la Vita, pur avendo realizzato tante cose, è comunque ancora limitata e incompiuta; e al contempo, che ogni insufficienza non è definitiva, ma in corso di superamento. Se la Vita fosse solo limitata, non esisterebbe il dolore: il dolore infatti rivela che la Vita cerca un oltre e che pertanto “sta male” finchè non l’ha prodotto. Pertanto il benessere è il rivelatore di ciò che la Vita ha già creato (vita in essere), il dolore è il rivelatore di ciò che la Vita può creare ( vita in divenire). Poichè la vita in divenire è una parte essenziale della Vita, risulta errato pensare che la nostra vita abbia per scopo il benessere così come risulterebbe errato dire che la nostra vita abbia per scopo solo il dolore creativo.

Perciò la Cosmo-art dice che il fine della Vita consiste nella realizzazione della bellezza seconda, la quale contiene il benessere delle cose già create, ma non esclude il dolore per le cose da creare. Purtoppo almeno tutto l’Occidente poggia esclusivamente sulla prima affermazione ed esclude dal pensiero e dal cuore ogni forma di dolore e tutte le persone che portano il dolore su di sè. Per noi occidentali il dolore è un nemico mortale che infrange tutti i nostri sogni e che pertanto va combattuto e fermato come un terrorista.

L’altra sponda del fiume
Il dolore invece è una delle due sponde del fiume della vita. Senza una sponda il fiume tràcima. Il dolore cioè, è una parte della vita. E se è una parte della vita, non può essere contro la Vita. Una similitudine: se il braccio è una parte del corpo, non può essere contro il resto del corpo. Un’altra similitudine: se la gioia è la luce diurna con cui vediamo i colori e le forme, il dolore è il buio notturno che ci permette di vedere stelle e galassie. Naturalmente, se il rapporto del dolore con il benessere è paritario in fatto di necessità, non lo è in funzione dell’obiettivo.

Vale a dire che la gioia è il fine e il dolore è una strada. Pertanto non si cerca e non si ama il dolore per se stesso (=masochismo), ma lo si attraversa in vista di una diversa gioia. Va precisato che la gioia così attuata non è la gioia comunemente detta (e che coincide con benessere o piacere), la quale, come si diceva, esclude e combatte il dolore, ma una gioia che lo include: è la gioia propria della bellezza seconda, e che potremmo chiamare anche gioia seconda.

Il dolore e le religioni.
Se le religioni politeistiche avevano accentuato il valore della Vita in atto (=questa vita), le religioni monoteistiche hanno accentuato la Vita in divenire (=l’altra vita). Perciò la Cosmo-art si distanzia sia dalle prime che dalle seconde. In più, il senso dato dalla Cosmo-art al dolore si differenzia in modo radicale dalle religioni. Anzi possiamo dire che finora questo senso nuovo non è stato dato neppure dalle filosofie e dalle scienze. Per fermarci alle religioni e limitarci al cristianesimo dal quale l’occidente ha preso forma, la presenza del dolore nel mondo è spiegata come effetto e punizione del peccato dell’uomo.

Pertanto se l’uomo vuole uscire dal peccato deve accettare, sopportare ed espiare col dolore, il quale così diviene forza purificatrice delle colpe. Di fronte a questo impianto alquanto antropomorfo e parecchio mentalistico, la Cosmo-art dice più semplicemente che il dolore esprime e rivela la parte incompiuta e grezza della Vita, la quale in quel punto ha bisogno della forza del dolore stesso per creare nuove proprietà emergenti.

Tipi di dolore
1) C’è un dolore prodotto dalla cattiva volontà dell’uomo contro la vita propria o altrui (avidità, guerre, ingiustizie, inquinamento, abusi, sogni assurdi…) e c’è un dolore proprio della Vita, la quale su tanti punti è insufficiente e perciò in itinere (malattie, perdite, terremoti, vecchiaia, morte..). Il dolore prodotto dall’uomo va impedito o affrontato, con la trasformazione del cuore dell’uomo. Anche questa operazione può produrre bellezza seconda; il dolore proprio della vita va attraversato con arte e saggezza al fine di creare la bellezza seconda.
2) C’è il dolore fisico (io corporeo) e psichico (io psichico) che possiamo chiamare sofferenza e c’è il dolore più propriamente detto (dell’io persona) che può essere morale (es. colpa) o esistenziale (es.perdita di persone care).
3) Ogni forma di dolore è anche una quota di morte, ed ogni forma di morte è anche una quota di dolore. Possiamo immaginare che nella morte biologica (o corporale, come diceva Francesco d’Assisi) confluiscano tutte le forme di dolore. Ma se si è saputo morire parzialmente ogni volta che era necessario, è ipotizzabile che anche la morte corporale possa essere vissuta bene (sino ad essere chiamata dallo stesso Francesco d’Assisi sorella): infatti la qualità del dolore in essa esperito è la stessa delle diverse morti precedenti, anche se la quantità può essere maggiore.
4) Tutti i tipi del dolore della Vita possono essere utilizzati per creare la bellezza seconda, la quale può così sgorgare dal corpo, dalla psiche, dall’anima e dal cuore.

Il dolore è una forza cosmica che serve per creare
a) Dire che il dolore è una “forza” equivale a dire negativamente che esso non è un nemico o un impedimento, e positivamente che esso è un aiuto. Dire che il dolore è un aiuto equivale a dire che senza quel tipo di aiuto l’uomo non può assolutamente realizzare certe cose importanti.
b) Il motivo per cui il dolore è una forza necessaria sta nell’aggettivo “cosmica”, vale a dire che quella forza non sta nell’uomo come sua produzione, ma nella vita fontale e globale. La parte dell’uomo (anche questa necessaria) è quella di utilizzare quella forza con arte e saggezza. Per questo motivo la bellezza seconda è frutto del sì dell’Uomo e della forza della Vita.
c) In questo compito, usare da parte dell’uomo arte significa saper disgiungere ciò che è confuso, saper unire ciò che è separato e saper fondere ciò che è opposto. Usare saggezza invece significa vedere come stanno esattamente le cose e vedere come possono andare al fine di creare una inedita proprietà emergente.
d) che cosa significa creare? Intanto non significa creare dal nulla, ma significa far emergere qualcosa che non c’è utilizzando con arte e saggezza ciò che c’è dentro e fuori di noi.
In riferimento al dolore esso contiene molti nuclei di forza utili a creare:
– ci fa vedere come stanno esattamente le cose della vita: ciò che è importante e ciò che lo è meno;
– ci fa capire dove stiamo noi e cosa urge fare;
– ci obbliga ad annientare ciò che fino a quel momento ci è stato utile ma ora non basta più; e questo sia nell’ordine di chi siamo, che nell’ordine di ciò che abbiamo;
– ci spinge a desiderare, volere ed attuare una nostra diversa identità nel sentirci, nel pensarci, nel comportarci.

E tutto questo, ed altro, può permettercelo solo il dolore. Il benessere ci permette altre cose. Il benessere ci fa godere i doni mortali trovati; il dolore ci fa creare i doni immortali da godere.

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