Non esistono confini se quelli che noi decidiamo di avere
In una società sempre più lanciata verso la quantità, anzicchè la qualità, la parola digiuno evoca, a livello inconscio, un’immagine di privazione e di mancanza, intollerabile per la maggior parte delle persone. Questo è senz’altro un modo di vedere le cose, ma, poichè viviamo in condizione di polarità, ve ne è anche un altro, che offre un panorama ed una prospettiva decisamente differente. Mi riferisco alla possibilità di considerare il digiuno, non come una privazione, ma come una porta sulla propria realtà spirituale, dove per realtà spirituale non si intende qualcosa di etereo, nebuloso e molto lontano dalla quotidianità, ma l’espressione completa del proprio essere, che coinvolge quindi tutti gli aspetti della nostra vita, dal piano fisico/corporeo, a quello delle emozioni/sentimenti, a quello del pensiero e naturalmente anche all’aspetto animico/essenziale di ogni individuo. Presso le antiche civiltà, il digiuno, era considerato la porta d’ingresso principale verso il mondo spirituale, in quanto, simbolicamente, il senso di vuoto che la mancanza di cibo produce, ci permette di ricevere il divino, come ben spiega il Maestro Sufi Ibn Arabi in “Les Illuminations de la Mecque”: “Il frutto della fame è lo stato di veglia.
Lo stato di veglia porta alla conoscenza dell’anima”. Da quando ho iniziato il mio percorso di evoluzione spirituale, circa trentanni fa, un mio proposito, che non è stato subito chiaro, ma che mi si è ben presto rivelato, fu di sondare i miei limiti e quelli che l’umanità considera indiscutibilmente tali; mi riferisco, tra gli altri, alla convinzione della ineluttabile necessità di mangiare per rimanere in vita. Ed è stato proprio questo proposito, che mi ha condotto a fare un’esperienza, che avrebbe poi modificato tutti i miei paradigmi e la mia visione della realtà. Mi riferisco ad un periodo della mia vita in cui ho fatto esperienza, per alcuni mesi, di alimentazione pranica, ossia la capacità di mantenere il proprio corpo in vita ed in buone condizioni di salute utilizzando energia fotonica o, altrimenti detta, luce. Il punto di partenza di questa esperienza è stata la conoscenza di Jasmuheen, ricercatrice e scrittrice australiana, che ormai da un decennio vive nutrendosi appunto in questo modo. Aver toccato con mano la genuinità ed i risultati di questo percorso, che su di lei sono totalmente visibili, mi ha convinto che questa era senz’altro una tappa fondamentale verso il superamento dei miei limiti.
Per due terzi della mia esistenza, il cibo ha costituito un elemento cardine sia di ammortamento dei miei problemi personali, che di socializzazione con il mondo esterno. Durante l’adolescenza ho sofferto di bulimia, nella quale la definizione di “vero nutrimento” era un concetto avvolto nella nebbia dell’inconsapevolezza. Uscita dal periodo bulimico, ho proseguito rimpinzando familiari ed amici come segno di massima cura nei loro confronti e, naturalmente rimpinzavo anche me stessa, fino ad un punto in cui il mio corpo ha posto un ultimatum, facendo capire che era venuto il momento di fare maggiore luce sulla mia relazione con il nutrimento. Nel tempo ho acquisito una migliore consapevolezza di ciò che ingurgitavo, fino a disintossicare il mio corpo dal monte di tossine accumulate nel tempo. Ma ancora qualcosa mancava. Il mio corpo ha cominciato a produrre effetti spiacevoli ogni volta che mangiavo prodotti animali. Con mio grande rammarico e dopo molteplici tentativi di ignorare le indicazioni che il mio corpo mi inviava, alla fine ho smesso definitivamente di mangiare carne ed affini e a quel punto il mio organismo è sembrato essere soddisfatto.
In realtà qualcos’altro, molto più sensazionale era in agguato dietro la porta della mia vita. Un giorno, mentre aiutavo a sistemare i libri nella libreria di un’amica, ho trovato il libro “Nutrirsi di luce” di Jasmuheen. Dopo averlo letto di un sol fiato, ho sentito delinearsi davanti a me, un nuovo pezzo del mio percorso e mi ci sono avventurata immediatamente. Dopo alcuni mesi di questa esperienza, ho iniziato quello che Jasmuheen indicava allora come il processo dei 21 giorni, pratica da vivere in solitudine durante la quale nei primi sette giorni c’è l’astensione totale da cibo solido e liquido e nei restanti 14 giorni si consumano solo liquidi. Più ancora dei precedenti mesi di astensione dal cibo solido, questa pratica è stato un vero incontro con la mia essenza o anima o come la vogliamo chiamare. E’ stato un momento molto impegnativo da tutti i punti di vista, durante il quale il mio essere è stato sollecitato in maniera esponenziale nel corpo, nelle emozioni, nella mente e nello spirito. Ho avuto bisogno di un lunghissimo periodo di tempo per metabolizzare tutto quello che era emerso soprattutto in quei 21 giorni, ma, dopo essere “morta”, simbolicamente parlando, sono anche rinata e qualcosa in me era definitivamente cambiato.
Ho poi ripreso a mangiare, mantenendo però l’abitudine di fare più o meno brevi periodi di digiuno, ogni volta che ne sentivo la necessità. Nutrirsi di luce non è semplicemente eliminare il cibo, ma è un lavoro sinergico costante che coinvolge tutti i piani dell’essere. Occorre amorevole disciplina, costanza, tolleranza e gentilezza verso sè stessi e verso i propri automatismi, flessibilità, pazienza e rispetto dei tempi che ognuno di noi, in modo differente gli uni dagli altri, ha bisogno per convertire le proprie abitudini. Personalmente ho fatto tutto il contrario di ciò che ho appena elencato ed è proprio per questo che ora mi è perfettamente chiaro quanto invece sia fondamentale questo tipo di attitudine. Non ho mai smesso di elaborare dentro di me questo processo, per comprendere sempre meglio i miei meccanismi di fuga e di difesa. Quello che per me è stato l’apprendimento più importante, rispetto all’argomento alimentazione, non è stato soltanto capire quali sono i cibi migliori da mangiare, i momenti e le modalità migliori in cui farlo, ma arrivare a comprendere che per vivere non sono schiava del cibo e che c’è qualcos’altro, molto più sottile e molto più potente che è il vero responsabile della sopravvivenza e del mantenersi giovani, sani ed efficienti, il vero nutrimento del corpo.
Questo invisibile alimento è il Prana o Energia Cosmica che immettiamo nel corpo ogni volta che respiriamo, spesso inconsapevolmente e in maniera insufficiente. L’immissione abbondante e consapevole di Prana, grazie ad una adeguata respirazione, il contatto prolungato e consapevole con la Natura e gli Elementi, potenti strumenti di purificazione e trasformazione, l’utilizzo di cibo “vivo” che abbia cioè subito la minor quantità di manipolazioni ed il suo consumo moderato, l’esercizio fisico, la meditazione, la preghiera, la disponibilità a condividere con gli altri le proprie potenzialità ed il proprio tempo, l’utilizzo positivo del pensiero come strumento per creare la realtà che desideriamo, l’accettazione delle nostre zone d’ombra e di tutte le emozioni pesanti in esse contenute e la disponibilità a trasformarle, la creazione nel luogo in cui viviamo e lavoriamo, di uno spazio che favorisca il benessere, l’ascolto di musica e la visione di immagini ispiranti, amicizie e relazioni che ci sostengano con il loro amore, tutto questo e molto ancora, possono essere a buon ragione considerati cibi “non convenzionali”, ma in grado di supportare splendidamente il corpo, che a qual punto richiederà molto meno cibo fisico.
Scoprire di essere molto più forti, potenti e soprattutto liberi, è un’esperienza davvero indimenticabile!