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L’orgoglio di Bush, la supponenza di Sarkozy , la boria di Berlusconi.

Leggendo in questi giorni sui giornali si legge della presunzione di Putin, dell’orgoglio di Bush, della supponenza di Sarkozy , della boria di Berlusconi. Sullo sfondo delle competizioni olimpiche, i titoli dei giornali propongono una continua gara tra cattive abitudini e pessimi vizi nazionali ed internazionali. Qualcuno finge un torposo e laconico scandalo agli efferati delitti della cronaca estiva, ma pochi si stupiscono della continua corsa alla scortesia, a chi sfoggia maggiori furbizia nell’ingannare il prossimo. Sia che ciò avvenga entro i confini, sia che accada verso un alleato o un avversario. Non posso fare a meno di mettere assieme cronaca e politica internazionale. Gli scontri diplomatici non sembrano altro che il frutto della medesima cultura della cattiveria, della furbizia e dell’invidualismo frenato, ma portato ad alti livelli, espresso con i raffinati strumenti della più nobile cultura, effetto di importanti studi, ma in fin dei conti, orientato sempre verso cattiveria e furbizia. Gli stessi valori che poi, in un crescendo di perversione e patologia, sono espressi dagli scippatori, dagli assassini e dai criminali.

Non sono il primo che propone questa nota associazione. Avere la fortuna di possedere le risorse per effettuare una lunga carriera di studi, frequentare università prestigiose, accedere alle informazioni non sembra migliorare i valori di coloro i quali diventano poi la cosiddetta Classe dirigente. A guardare la scena internazionale dei capi di Stato, i valori di fondo, al di là dei bei discorsi di circostanza, sembrano essere sempre il tornaconto, l’esercizio del potere, il narcisimo personale. Non stupisce quindi che le nuove generazioni, nutrite dall’esempio dei “Grandi” della Terra, finiscano per inseguire legittimamente i medesimi valori. Poi ognuno lo fa con i propri mezzi e i con gli strumenti messi a disposizione dalla propria cultura. Il grande diplomatico, convinto di fare il bene del proprio paese e del proprio popolo, l’avvocato che difende i diritti del proprio assistito, mentre il picciotto dei ‘bassi’ di Palermo, per fare il bene della ‘Famiglia’. Ma il fine rimane sempre ‘Come fregare l’altro’. Naturalmente c’è differenza tra l’uno e l’altro: ma è troppo poca oppure non si percepisce a sufficienza.

Non vedo un grande sforzo da parte di chi sa di essere un esempio per i giovani nel proporre valori di bontà, cooperazione, gentilezza autentica. I Capi di Stato, a ben guardare, hanno tanti problemi importanti per la testa, che forse non hanno tempo da dedicare a questa, che pure è una resposabilità legata al loro ruolo e alla loro funzione pubblica. Non c’è nulla di male a difendere i propri diritti, e neppure a cercare di migliorare le proprie condizioni di vita e quelle dei propri cari. Ma io credo, che in questi tempi di globalizzazione, dove sempre più si percepiscono gli stretti legami che legano ambiente, economie locali e continentali, sia importante fermarsi a riflettere su come si ottengono questi benefici. I tibetani lottano per la l’indipendenza dalla Cina e – pur lontani dal pensiero di Gesù – lo fanno pregando per i loro avversari. Interi monasteri pregano perchè i cinesi siano felici, perchè possano realizzare i loro sogni e i loro progetti. Il Dalai Lama desidera ardentemente la liberazione del Tibet, ma ha disposto che i monaci inseriscano la felicità degli avversari nelle loro preghiere.

Io dubito che nella testa di Berlusconi o in quella di Bush o di Sarkozy ci siano questo tipo di valori. E ho volutamente preso questo esempio, tanto straordinariamente vicino ai valori di Cristo e alla cultura europea (almeno quella ostentatamente esibita), per tacitare tutti quegli smaliziati che avrebbero potuto obiettarmi che la cultura orientale tibetana è troppo lontana e diversa dalla nostra. Se l’esempio che parte dall’alto e che ispira le politiche nazionali ed internazionali è quello della maleducazione assunta a modello, della furbizia e dell’astuzia per fregare l’altro come metodologia, dell’arroganza come strumento di confronto, non c’è da stupirsi se poi, scendendo via via negli strati del tessuto sociale, vengano perseguiti i medesimi valori, ma con strumenti diversi e con le distorsioni e perversioni personali. Rischia di diventare difficile sanzionare uno scippatore che per errore uccide la nonnina rimasta incastrata nel pedale della moto, quando poi le donne e bambini assassinati dai missili strategici, dai bombardamenti ‘chirurgici’ vengono chiamati in gergo ‘Civil casualties’.

Nessuno si prende la colpa di questi milioni di morti, perchè salendo verso l’alto, lungo la scala gerarchica, le Leggi cambiano, si modificano. E ciò che è reato ai più bassi gradini della scala sociale non è affatto detto che lo sia ai più alti. Eppure i valori di fondo sono purtroppo, a ben vedere, i medesimi. Con ciò non intendo deresponsabilizzare i mafiosi o dare tutta la colpa ai capi di Stato. Ma credo sia urgente diffondere una cultura dell’incontro, più che quella dello scontro. Se già il vicino di casa è un nemico, poi lo è anche chi ha una religione diversa. E non è che questo tipo di razzismo sia migliore di quello, di hitleriana memoria, della razza o del colore della pelle. Il paventato scontro di civiltà, con cui i telegiornali ci hanno torturato (e ci torturano da) anni, comincia dal mancato sorriso che non facciamo alla fermata dell’autobus, dal grugno accicliato che presentiamo ai colleghi d’ufficio, dal parcheggio che furbescamente e con mossa astuta freghiamo all’altro automobilista. Illudendoci poi che dentro le mura di casa, diffondiamo invece armonia, bontà, altruismo, spirito di solidarietà, pietà, generosità.

La ‘gente siamo noi’ recitava una canzonetta di qualche anno fa. Se nessuno protesta perchè i palinsesti televisivi sono ridotti ad un’alternanza di film di serial killer e di telegiornali, interrotti solo dal vuoto pneumatico dei quiz da intrattenimento, come si fa a distinguere la realtà dalla fantasia? Se ci nutriamo solo di paure, pericoli, minacce, come possiamo costruire un presente felice ed armonioso? La bontà è un valore che non può essere esercitato solo per ottenere vantaggi individuali. Man mano che prendiamo consapevolezza di essere tutti legati da un’invisibile filo che accomuna le nostre coscienze e le nostre esistenze, ovunque sulla Terra, la bontà non può essere più soltanto un ozioso esercizio per pochi. Non possiamo più permetterci di lasciare che siano solo una sparuta manciata di monaci tibetani a pregare per la felicità dell’altro. Ma diventa sempre più un dovere di tutti: una “disciplina dell’amore” che va esercitata quotidianamente. In un mondo globalizzato, in un universo superconnesso, la felicità non può essere più considerata un bene individuale, ma necessariamente collettivo.

Io respiro l’aria emessa dai polmoni del mio vicino di casa. Perchè il suo stato d’animo non dovrebbe influenzarmi altrettanto profondamente? Io percepisco la tensione emotiva tra due persone che litigano. Perchè il dolore dei profuhi del Darfur non dovrebbe investire anche me, i miei figli, influenzare le loro scelte, condizionare il futuro di tutti? Nessuna crociata in vista. Ma se i buoni e i cattivi siamo sempre noi, allora non c’e nessuna differenza tra noi – i piccoli – e i ‘grandi’ – i Putin, i Bush e i Clinton. Almeno da questo punto di vista abbiamo tutti la medesima responsabilità: cosa seminiamo? Quali sono i valori che autenticamente ci diamo e autenticamente perseguiamo? Cosa ne facciamo della nostro ruolo di diffusori di amore, di seminatori di bontà, quanto impegno ci mettiamo nell’essere persone umanamente migliori?

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