Il Natale è un rito di passaggio
Da sempre l’essere umano ha estratto dalla moltitudine di accadimenti quelli più rilevanti per la sua sopravvivenza, sottolineandoli con il rito e la celebrazione. Fare qualcosa di speciale, festeggiare, ha il valore di considerare, dare importanza, ricordare qualcosa o qualcuno, manifestare la gioia per un evento che si ritiene significativo. Più collettivo e rilevante è il significato dell’evento e maggiore sarà l’estensione e l’intensità dalla festa, secondo un gradiente che va dal privato-personale al globo intero (dai compleanni ai capodanni).
Ho chiesto ad una bambina perché le piace il Natale, mi ha risposto: “Perché succedono le cose”. Nelle parti del mondo in cui i bisogni primari sono assicurati (cibo, acqua, riparo, cure) il Natale piace certamente ai bambini, perché succedono un bel po’ di cose speciali: non si va a scuola, si sta tutti insieme, si gioca, si va a letto tardi, arriva Babbo Natale e poi persino la Befana, si beve lo spumante e si mangiano un sacco di cose buone. E’ già da un pò che sono diventata grande e, da quel momento, quando si sta avvicinando il Natale, quando si parla del Natale con le persone che conosco (amici, pazienti, colleghi, parenti), mi riesce molto difficile trovare qualcuno con cui gioire, che, come me, senta l’eccitazione per l’arrivo di giorni speciali, in cui si fanno cose speciali.
Ma cosa c’è di speciale, mi dicono?
Oddio il Natale…! :-((
Speriamo che passi presto! Anzi, io parto, così non me lo devo subire!
Ecco, questo è il motivo conduttore, in tutte le infinite salse che ogni persona, unica nella sua storia, riesce a cucinare. Questo è l’umore dominante che percepisco verso un evento che si definisce come portatore di gioia, serenità, comunicazione, riflessione, incontro intimo con la famiglia, baldoria con gli amici, e che, proprio per questo, si rivela colmo di ansie, appesantito da una densità emotiva troppo spessa per poterla penetrare, che è contemporaneamente ostacolo e opportunità al vedere profondo e al godere.
Nato significa “venuto al mondo, alla luce”; natale significa “della nascita”, mentre Natale è la “solennità liturgica dell’anno cristiano in cui si celebra la natività di Gesù Cristo”;
Il Natale di cui parliamo qui coinvolge, direttamente e indirettamente, una grandissima parte del genere umano, povero o benestante, al di là dei credi religiosi, dell’appartenenza culturale e dell’emisfero di residenza, in quanto principale festa dell’anno, lungo periodo di “festeggiamenti” che partendo dal solstizio d’inverno arriva fino all’Epifania; Prima di “appartenere” alla Cristianità come ricorrenza della natività del Cristo (cosa che viene istituita solo nel 4° secolo dopo Cristo nell’Impero Romano e ancora più tardi nelle zone orientali), nello stesso periodo dell’anno, in oriente come in occidente, la tradizione popolare era ricca di riti legati alla chiusura di un ciclo e all’apertura di un nuovo ciclo.
Era il mondo rurale, a dominare la scena dall’epoca precristiana fino all’avvento dell’era industriale, e cioè la sopravvivenza, la conservazione della vita, era legata alla produzione del cibo, e a tutto ciò che la influenzava, quindi alle stagioni, alla meteorologia, al movimento degli astri in genere e di quelli più importanti per la terra e per gli uomini: il Sole e la Luna. Prima del Natale cristiano c’erano, infatti, la festa del Fuoco e del Sole, della divinità della luce Mitra (divinità orientale), come dispensatrice di fertilità e in lotta contro l’oscurità; si celebrava cioè il passaggio dal giorno dell’anno in cui c’e meno luce (solstizio d’inverno), al giorno seguente in cui le giornate diventano progressivamente più lunghe, fino ad arrivare al giorno più lungo dell’anno in giugno (solstizio d’estate). Riti che ricordavano agli uomini la loro appartenenza alla natura ciclica dell’esistenza, dalle tenebre alla luce, dai campi in invisibile gestazione al rigoglio dei frutti maturi, dalla morte alla vita, dall’inverno all’estate, e… poi di nuovo….
I Celti festeggiavano il solstizio d’inverno, mentre nell’antica Roma dal 17 al 24 si festeggiavano i Saturnali in onore di Saturno Dio dell’agricoltura, simbolo dell’eroe civilizzatore che, in particolare, insegna la coltivazione della terra portando cioè evoluzione e benessere.
Nel corso di queste feste, i rapporti sociali venivano ribaltati, i servitori comandavano ai padroni e costoro servivano a tavola suntuosi banchetti ai loro schiavi (ne mangiavano anche loro naturalmente!) e, ci si scambiavano doni, proprio come ai giorni nostri! Nel 274 d.C. l’Imperatore Aureliano decise che il 25 dicembre si festeggiasse il Sole. A questo periodo viene fatta risalire la tradizione del ceppo natalizio: era di quercia, legno propiziatorio, doveva restare acceso nelle case per dodici giorni consecutivi, e da come bruciava si poteva presagire come sarebbe stato l’anno futuro.
Il passato e il futuro, il passaggio da un punto all’altro dell’anno, da un anno all’altro, da un punto all’altro della nostra vita, da un punto all’altro della vita dell’umanità come intero-continuo nei millenni, il dominio della legge della morte e della rinascita, questi sono i densi contenuti che s’intrecciano nei secoli tra mitologia, tradizione popolare e contadina, profana e sacra, cristiana e atea e che arrivano ai giorni nostri come nuclei incapsulati e mascherati che fanno da sfondo collettivo al Natale personale che ognuno di noi vive; e che proprio per questo non è, e non può essere, un momento come un altro!
In questo “punto energetico” dell’anno, ci troviamo (magari davanti ad un piatto ben presentato!), faccia a faccia con il bilancio della nostra vita, con gli effetti delle scelte, con il dolore per l’assenza di chi non c’è, con la soddisfazione di ciò che abbiamo costruito (se ce la concediamo).
Magicamente, flottano in superficie la qualità dei nostri rapporti affettivi, l’ambivalenza dei sentimenti, ruoli che ci stanno stretti o troppo larghi, sospesi relazionali mai affrontati; si fanno largo tra spot pubblicitari idealizzanti, sfolgoranti addobbi e candele rosse, frenetici acquisti e preparativi culinari; tra obblighi e consuetudini. Proprio in questo consiste la magia del Natale, catalizzatore di consapevolezza, occasione che ci offriamo per vedere “dove siamo” rispetto a noi stessi e al mondo, per festeggiare la “nascita”, “nuovo inizio”, rinnovamento, ulteriore possibilità di trasformazione. Il pensiero si espande e la percezione del nostro umore (qualunque esso sia) si amplifica; cosa farne?
Fuggire, nascondersi, evitare, tacere o anche restare, aprirsi, affrontare, giocare?
L’inesorabile vibrazione internazionale del Natale, dice un mio amico sagace!
Il solstizio d’inverno, la ciclicità delle stagioni, la nascita, sono processi inarrestabili che sottostanno alle leggi della natura (per il momento!); essi scandiscono simbolicamente altre tappe e percorsi, quelli della crescita esistenziale e spirituale che, come ogni processo non soggetto ad automatismi, si può comprendere e facilitare oppure tenere a bada e ostacolare; si può indirizzare in una direzione piuttosto che in un’altra.
Sta alla nostra libertà decidere, ascoltarci e seguirci, trarne il meglio per noi e per gli altri e gioirne insieme; oppure no.