“Qualcuno ha chiesto di vedere l’anima? Guarda la tua stessa forma e il suo contenuto, guarda le persona, gli elementi, le bestie, gli alberi, i ruscelli gorgoglianti, la roccia, la sabbia”.

Questa poesia di Walt Withman presenta meglio di qualsiasi dissertazione lo spirito che anima un campo di ricerca emergente che unisce due discipline sinora sviluppatesi separatamente: psicologia ed ecologia. La psicologia, dedicata al risveglio della coscienza dell’uomo, si sta svegliando a una delle più antiche verità: non possiamo essere studiati e curati separatamente dal nostro pianeta. L’ecologia riconosce che l’essere umano è il fattore ambientale più condizionante, e vale la pena conoscerlo meglio, anche nei suoi aspetti più impalpabili, anche per elaborare strategie funzionali di gestione del territorio. Nasce così l’ecopsicologia, che unisce la sensibilità dei terapisti, la conoscenza degli ecologi, l’esperienza e l’etica degli ambientalisti, per una politica ambientalista più efficace e con solide basi filosofiche, per una programmazione di tipo educativo più efficace e per un’approccio terapeutico in grado di ridefinire il concetto di salute in un contesto anche ambientale, esaminando la psiche come parte integrante della natura. “Non possiamo restaurare la nostra salute e il nostro benessere se non restauriamo la salute del pianeta”, afferma Theodore Roszak, storico della cultura che negli anni ’90 ha coniato il termine “ecopsicologia” per unificare studi e riceche che già da diverso tempo procedevano, con nomi diversi, in un stessa direzione.

L’ecopsicologia molto deve anche ad Arne Ness, il padre dell’ecologia profonda, che già negli anni ’80 inizia a collegare tra loro psicologia ed ecologia, studiando a diversi livelli le profonde influenze che ci sono tra natura e equilibrio psicologico. In sintesi, possiamo definire l’ecopsicologia come un nuovo campo d’azione e di ricerca che riconosce alla natura un ruolo fondamentale non solo per l’equilibrio fisico, ma anche psicologico e spirituale dell’individuo. Quattro sono le direzioni in cui questa ricerca si sviluppa attualmente: 1. Lo studio del rapporto uomo-natura in altre culture, facendo interessanti correlazioni tra qualità di rapporto con la natura, qualità di rapporti interpersonali, e qualità di valori di ogni società. Nativi americani, indios, aborigeni australiani, dogon, esquimesi, sono tutti esempi di popoli che forse noi ancora consideriamo con più o meno benevolenza “primitivi”, ma che dal punti di vista etico e sociale sono sicuramente molto avanzati. 2. Lo sviluppo di un nuovo atteggiamento nei confronti della natura, rivolgendosi soprattutto al campo dell’educazione, mostrando che la natura non è solo un ambiente ostile in cui cercare di sopravvivere o un deposito di risorse da sfruttare senza riserve, e neppure qualche cosa di carino da salvare per benevolenza e magnanimità.

La natura è un essere vivente di cui siamo parte integrante. Se vogliamo salvaguardare non solo la nostra sopravvivenza fisica – perché anche questa è in gioco – ma anche l’equilibrio e il benessere psicologico e spirituale, abbiamo bisogno di natura attorno a noi. 3. Un’applicazione in campo più propriamente terapeutico che che affronta il disagio sociale e individuale correlandolo anche al quadro ambientale in cui si vive, prendendo in condiderazione anche le conseguenze dello sradicamento dalla natura. L’incontro con la wilderness – la natura incontaminata – diventa un’opportunità di riscoperta e valorizzazione degli aspetti più profondi e vitali del proprio essere. Il paesaggio naturale può diventare un nuovo setting terapeutico, riconoscendo che l’incontro con colori, spazi, ritmi, suoni diversi favoriscono il rilassamento della mente e il contatto con le emozioni, oltre ad offrire una preziosa opportunità di scarica fisiologica di tensione e stress. La natura diventa una metafora per esplorare il mondo interiore, altrettanto vasto e sconfinato di un pianeta con i suoi abissi e le sue altezze.

Citando lo psicoterapeuta James Hillman: “Forse per comprendere le malattie dell’anima dobbiamo comprendere le malattie del mondo”. 4. L’elaborazione di nuove strategie per portare avanti la causa ambientalista, impostando il proprio discorso non più su una colpevolizzazione per il degrado ambientale, ma su un coinvolgimento attivo, pratico e ottimistico per risolvere i problemi e soprattutto sul far sentire . Dave Foreman, che si definisce un ecowarrior, ricorda ai colleghi che il più grande obiettivo è quello di: “Aprire l’anima all’amore per questo glorioso, lussureggiante, animato pianeta”. E dimenticare questo vuol dire danneggiare la nostra salute mentale! Occuparsi di ecologia e di ecologia della mente, di retti rapporti tra uomo e ambiente, tra uomo e uomo e anche all’interno dell’uomo, diventa un tutt’uno, diventa funzionale a uno stesso obiettivo: quello di creare delle condizioni adatte al prosperare della vita in tutta la sua varietà e bellezza. Marcella Danon Bibliografia: Theodor Roszak, Mary Gomes, Allen Kanner, “Ecopsychology”, Sierra Club books. Derrik Jensen, “Listening to the land”, Sierra Club books Fritjof Capra, “La rete della vita”, Rizzoli.

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