Burning Man
Anche quest’anno si è conclusa l’edizione 2014 del Burning Man, festival della libertà creativa organizzato nel deserto del Nevada. Decine di migliaia di persone si ritrovano per una settimana, ad agosto, nel mezzo del deserto e costruiscono una vera e propria città temporanea dal nulla. La parola d’ordine è ‘libertà di esprimersi’ in ogni forma: scultura, danza, invenzioni, colori, rituali, feste, ecc.ecc. Partita come manifestazione neo-hippy per pochi stravaganti è divenuto mèta di personaggi famosi e manager di multinazionali. Ci si deve oltretutto rendere completamente autonomi per la sopravvivenza della settimana in questione (nel mezzo del deserto, con condizioni meteo molto particolari e nulla all’orizzonte).
A parte una sensazione superficiale – guardando dei filmati sul web – di eccessi vari e mancanza di riposo protratta per gli avventori, sento che questo festival incarna l’espressione di un bisogno profondo e negato all’individuo nella società contemporanea. Il bisogno – a parte pochi fortunati che lo fanno di mestiere – è quello di ‘materializzare’ in qualche forma espressiva il proprio mondo interiore, la propria anima…poter creare opere d’arte a partire da ciò che siamo, dai nostri vissuti, dai nostri sogni.
Il rituale conclusivo di quest’anno è stato quello di bruciare un enorme tempio di legno (costruito durante la settimana) nel quale ognuno aveva posto un oggetto che rappresentasse parti di sé e della propria vita da lasciar andare…potente, simbolico, necessario. Si va via al settimo giorno e si lascia tutto perfettamente intatto come all’arrivo. Il deserto torna uguale a prima…ma chi vi ha partecipato sarà lo stesso il giorno dopo in ufficio?…