vita

La mia vita.

A volte mi piacerebbe sapere tutto della mia vita futura, avere un angelo accanto che dolcemente mi suggerisca le scelte da fare, le decisioni da compiere, le buche da evitare. Mi piacerebbe già conoscere se “da grande” farò l’astronauta o l’infermiere, il veterinario o il militare di carriera. Mi piacerebbe insomma capire finalmente qualcosa di me, comprenderla come si capisce un film, o una musica. Mi piacerebbe sapere se questa musica è bella e piacevole, oppure stonata, improvvisata, con qualche stonatura. A volte però penso anche che queste metafore mi aiutino solo in parte. Penso che la mia vita non sia fatta solo dai miei ricordi o dalle mie esperienze. Me la immagino tutta insieme, un blocco unico, fatto di passato e di futuro e dove il presente è la parte più grossa ed importante. Guardando l’universo è difficile stabilire la propria posizione all’interno della galassia e capire la rotta che si sta seguendo. E’ difficile stabilire la propria posizione geografica, stando seduti su una sedia dentro una cabina senza finestre di una nave. Forse è per questa ragione che non riesco a vedere il filo rosso: è perché sono dentro alla stanza.

Quando uscirò dalla stanza, allora tante domande troveranno una risposta, mentre altre – e forse saranno la maggioranza – perderanno semplicemente di significato. A volte, quando mi perdo nel labirinto della mia vita, nel labirinto dei miei problemi, quando di fronte a me vedo soltanto i miei fantasmi che prendono vita, corpo, forza, che mi spingono su una strada e solo su quella; quando non riesco a guardare in alto, quando non riesco ad alzare lo sguardo e osservare la cima dei palazzi verso il cielo, quando mi sento perduto nel groviglio delle scelte possibili, allora la mia vita sembra finita. Mi sembra così piccola, così dura e difficile, così inutile. Mi sembra che esistano solo i muri che fermano lo sguardo, che limitano la luce, che soffocano la mente. Allora, talvolta, penso al mare e a quando cercavo di scorgere l’ultimo frammento di orizzonte. Quando sforzavo gli occhi per percepire l’ultimo lembo di mare prima che scomparisse alla vista. Allora – mi ricordo – che quel mare così vasto mi entrava dentro e diventava parte di me. Anzi! Io stesso diventavo così vasto e profondo tanto da rimanerne spaventato, intimorito, sgomento.

In quei momenti non mi preoccupavo dei muri e delle scelte: ecco che le domande perdevano allora di significato. Tutte le risposte erano dentro di me: la paura si dissolveva, il timore e l’ansia per il futuro non mi appartenevano. Eppure ogni giorno vedo muri di fronte a me: ogni giorno mi sveglio rianimando tutti i fantasmi, tutte le paure: chiedendo agli oggetti, alle cose, alle persone di aiutarmi a creare questa realtà terribile e spaventosa. Chiedo agli oggetti di essere difficili, ostici, pericolosi; chiedo alle persone di essere ciniche, manipolatorie, perfide ed invidiose. Ecco allora che il mondo mi sembra a posto: come se questa fosse l’unica realtà per me possibile. Ecco allora che il mio compito diventa quello di trovare una via d’uscita in questo labirinto di mostri. Ho bisogno di mostri, di persecutori, di sofferenza ed infelicità: diversamente non so vivere. Non conosco un altro modo di vivere. Se per un caso, o perché un angelo posa la sua mano sul mio capo, accade un avvenimento, un fatto lieto, in breve devo farlo rientrare nel labirinto. Quando tutto il mondo è crudele, allora io mi sento al posto giusto: lotto per uscirne, combatto per sopravvivere, ma mi sento al posto giusto.

Questo è ciò che vedono i miei occhi, questo è quello che sente il mio cuore, questa è la grotta dove sono rinchiuso. Sono offeso e aggredito da persone a cui chiedo di essere crudeli, sono manipolato da altri a cui affibio il compito di strumentalizzarmi, sono vittima di un mondo a cui ho chiesto di farmi schiavo. E soffro. E’ chiaro che sto male, malissimo. La mia sofferenza è del tutto reale e tangibile. E’ come se nel medesimo tempo, creassi attorno a me un mondo crudele, per poi chiedere, lottare per tutta la vita, per ottenere la possibilità di essere felice. E’ un terribile circolo vizioso. Un grande filosofo dell’antica Grecia, disse che gli uomini vivono tutta la loro vita legati alla parete di una caverna, ed immaginando e scambiando le ombre proiettate sul fondo della parete opposta, per la vita stessa. Essi credono di vivere, credono di vedere oggetti e persone, ma esse sono soltanto proiezioni di ombre. Per questo mi sento prigioniero di un labirinto che io stesso creo manipolando gli affetti, le relazioni, i rapporti con le persone, con l’ambiente, con la natura e con l’universo.

Mi sento prigioniero di un labirinto che io stesso ho creato: per un verso desidero la felicità in un mondo di esseri felici, essere creativo in un mondo di persone libere, ma poi realmente – giorno per giorno – creo rapporti basati sul potere, sull’invidia, sul possesso. Giuro che non lo faccio apposta: mi scappa! Sul lavoro – ad esempio – non sopporto che nessuno mi dia degli ordini: se talvolta lo tollero dal capo, poi – in cuor mio – lo mando a quel paese e gli giuro vendetta. Ma non ne sono consapevole: solo che magari dopo 3 o 4 mesi – appena ne ho la possibilità – pur non ricordando nulla di quell’episodio, sono lieto di vendicarmi per lo sgarbo subito. Chissà, magari penso che se lo merita … A volte cerco di immaginare come sarebbe la mia vita se non ci fossero i muri della mia mente. Cerco di immaginare che tutti siamo al di sopra del proprio labirinto. Cerco di immaginarmi al di sopra del labirinto, al di sopra delle corde che mi tirano: i sensi di colpa, le paure, la rabbia … Cerco di immaginarmi fuori dalla caverna e di girare lo sguardo attorno: cosa vedrei? Come sarebbero le persone? Come sono veramente? Cosa fanno e come si relazionano a me? Se non chiedessi a nessuno di farmi paura e di strumentalizzarmi e se nessuno chiedesse a me di impersonare le sue paure e i suoi fantasmi, come sarebbe il mondo? Vedrei solo la mia anima e le anime degli altri? Amerei incondizionatamente? Sarebbe tutto Amore? Ecco perché non vivo in un mondo d’amore: perché non so neppure com’è fatto.

Se riuscissi almeno ad immaginarlo, a pensarlo, a visualizzarlo anche solo per un istante, almeno avrei il filo rosso da seguire di cui parlavo prima. Se tutte le persone da sempre conoscono solo dolore, violenza e sofferenza, come può essere diverso il loro futuro? Come può essere diverso il futuro dei loro figli? Osservo intorno a me persone che sanno benissimo cos’è il dolore, cosa significa essere feriti, cosa significa sentirsi totalmente soli ed abbandonati. Vedo persone che conoscono perfettamente la sofferenza e l’angoscia: raramente trovo persone che conoscono la felicità, la bellezza, l’amore e che non ti chiedono di rappresentare nulla. A volte penso che uscire dalla caverna però comporti dei costi non indifferenti. A volte ho l’impressione che fuori dalla grotta mi sentirei nudo, più nudo che se fossi semplicemente spogliato. A volte penso che fuori dalla grotta sarei solo, molto più solo che dentro ad una metropolitana affollata. Penso che uscire dalla grotta significa prendersi totalmente la responsabilità della propria vita, senza più nessun vittimismo nei confronti dell’esistenza.

Che prezzo alto! Un costo altissimo che davvero pochi possono permettersi. Eppure, per quanto costoso, mi sembra di pagare ogni giorno, un prezzo ancora più alto solo per avere la mia dose di sofferenza quotidiana. Sono un drogato di sofferenza, e molti attorno a me sono tossico-dipendenti quanto, e forse più di me. Sarebbe banale e riduttivo definirlo semplicemente “masochismo“. Questo è un cancro molto più profondo e terribile perché è invisibile ed inconscio. Quanto dolore bisogna attraversare per decidere di uscire dalla grotta? Quanta sofferenza bisogna sopportare per scegliere di tagliare le corde che ci legano? Quanta paura bisogna affrontare per prendere in mano finalmente la propria vita?

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