la mia rabbia

La Cosmo-Art e il Senso della Vita

Ho paura della mia rabbia

Ho paura della mia rabbia e nasciamo tutti arrabbiati. Non vuole essere un’affermazione pessimistica, ma è un dato di fatto. Per un motivo o per l’altro, ognuno di noi già nell’utero subisce una piccola o grande ferita, che può essere di natura identitaria “Quanto vorrei che fosse maschio/femmina!” oppure carichiamo il feto di troppe aspettative “Mio figlio sarà il migliore in tutto!”, o ancora “Mio figlio sarà un ingegnere spaziale!” e magari il feto ha delle forti tendenze artistiche e così via. Veniamo feriti nella nostra identità e nelle nostre più naturali aspirazioni, ma ciò a cui non pensiamo è che il feto percepisce queste mute richieste con un’intensità molto forte e dolorosa, con una sensibilità diversa dalla nostra e che cosa fa? Di fronte a questa prima ferita, che chiameremo ferita narcisistica, rimuove e nega il suo dolore.

Nell’utero

Il feto non ha coscienza di essere altro dalla madre, si identifica con lei. Sente la sua voce, le sue emozioni, i suoi pensieri e non li vive separati da sé ma reagisce ad ogni stimolo negativo, diretto o indiretto, rimuovendolo e negandolo. Dopo la nostra nascita biologica, quando cresciamo e diventiamo giovani adulti, di solito, affacciandoci all’adolescenza, tutto ciò che abbiamo rimosso e negato riemerge, sotto altre forme, in vari eventi della nostra vita.

Ricorrenza dei problemi

Guardando indietro, ci accorgeremo che alcuni episodi dolorosi o anche solo difficili che ci sono accaduti si ripetono, più o meno allo stesso modo, in situazioni diverse. Possiamo scorgervi la stessa matrice e probabilmente noi abbiamo reagito sempre nello stesso modo che può non essere quello giusto. Come possiamo capire se è giusto o sbagliato? Se ci sentiamo in balia della nostra reattività stiamo sbagliando e se non proviamo ad approfondirne le cause, rischiamo di farci del male, o moralmente o fisicamente. Ecco perché diciamo “ho paura della mia rabbia”.

L’orgoglio ferito

Andiamo a cercare nella profondità del nostro Io e ci troveremo di fronte al nostro orgoglio ferito. E’ sempre l’orgoglio il mandante e l’odio diventa il killer, nel senso che l’orgoglio, che con la propria volontà non accetta di avere alcun limite sia esso materiale che morale, e quindi ci porta a prendere sempre decisioni di odio invece che decisioni d’amore, è distruttivo in se stesso, perché per definizione intende distruggere l’ordine delle cose, opponendosi così alle Leggi della Vita. Per L’Antropologia Cosmoartistica la grandezza dell’uomo non sta nel poter fare qualunque cosa, ma nell’assecondare l’ordine delle cose, cioè le Leggi della Vita (cfr. Antonio Mercurio-Le Leggi della Vita). Quando ci troviamo dentro al turbine violento dell’orgoglio, della rabbia e del rancore, se non vogliamo affondare nel buco nero dell’odio, non abbiamo altra scelta che prendere la strada del perdono.

Sciogliere il nodo

Come possiamo sciogliere il nodo del nostro odio e riparare così la nostra ferita narcisistica? Dobbiamo accettare di assumere l’odio, di sentirlo e di agirlo. Agire l’odio significa esprimerlo, vomitarlo, rivelarlo. Questo non vuol dire affatto fare azioni distruttive, ma solo svelare la propria voglia di farle. L’odio è una volontà distruttiva, è una decisione, come lo è l’amore. L’unico modo per sciogliere il nodo dell’odio è quello di far “esplodere” la nostra aggressività (metaforicamente): tiriamo fuori tutto, poi perdoniamo prima noi stessi per aver odiato e poi chiediamo perdono agli altri.

Riparazione

Diversamente da quanto si pensa, agire in questo modo il nostro odio, significa iniziare a smettere di odiare. Il perdono non è passività o non-azione, è un dono d’amore verso se stessi e verso l’altro. Il per-dono è la cosa migliore che possiamo fare perché è capace di piegare l’orgoglio, di fermare la vendetta e di spegnere l’infinita voglia di risarcimento per la nostra ferita.

“Non si può affrontare il problema dell’odio se non si ha fiducia nella propria capacità riparativa” (Antonio Mercurio)

Perdono

Ci capita sempre di risentire il dolore di quella ferita antica, solo che ora siamo riusciti a cicatrizzarla. La cicatrice è lì e quando qualcuno ci passa un dito sopra, il dolore riappare, più tenue e più sopportabile, ma riappare. Sta a noi riconoscerlo e averne cura, con amore. E quando nella nostra vita ci capita di sprofondare di nuovo nel dolore e di lasciarci invadere ancora una volta da una rabbia cieca, sappiamo che altro non è che il ripresentarsi della nostra ferita antica, la più antica. Noi possiamo vederla, riconoscerla, ed usare gli strumenti che abbiamo acquisito nel nostro percorso di crescita per curarla. Noi nasciamo arrabbiati, ma possiamo vivere liberi dalla nostra rabbia, attraverso l’elaborazione del nostro dolore, la riparazione della nostra ferita e la decisione di perdonare. Il per-dono è una decisione d’amore che prendiamo per noi stessi e per gli altri.

“Solamente chi è forte è capace di perdonare.” (Gandhi)

 

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