Nel film “La leggenda del pianista sull’oceano viene raccontata la storia di un bambino che, su di un transatlantico che sta portando in “America” emigranti alla ricerca di un sogno da realizzare, viene abbandonato dal padre e dalla madre dentro una scatola.

Novecento è il nome che viene dato al bambino accolto da un marinaio che decide di tenerlo. Un po’ per volta tutto il personale della nave si affeziona al bambino, persino il capitano. Un giorno il capitano decide che è giunto il tempo che Novecento scenda dalla nave. Il principio paterno afferma che al tempo giusto va bene staccarsi dalla madre, ma Novecento si rifiuta e si nasconde. Passa del tempo e Novecento scopre un pianoforte sulla nave e con esso il suo talento artistico. La sua musica bellissima e struggente conquista tutti quelli che l’ascoltano e la sua fama si diffonde in tutto il mondo. Novecento, come pianista, riceve moltissime proposte di lavoro ma lui le rifiuterà con fermezza. Persino un grande musicista vuole incontrarlo e sfidarlo e Novecento in uno scontro memorabile distruggerà il rivale dimostrando di essere il migliore. Ma allora perché un grande pianista e musicista, forse il più grande del mondo, nonostante tanto sostegno e tanto successo non vuole che la sua musica si diffonda nel mondo? Perché non vuole che la sua musica sia incisa? Perché rifiuta l’incontro con l’amore? Possiamo accontentarci della risposta che il regista ci dà quando Novecento alla fine della sua vita comunica al suo amico trombettista le ragioni del suo no!? La paura di ciò che non ha limiti, la paura di ciò che non ha visto.

E che cosa non ha visto? Noi possiamo pensare invece che Novecento non abbia voluto scendere dalla nave perché non ha saputo e voluto superare la ferita dell’abbandono. Novecento è stato abbandonato dentro una cassetta di legno dal padre e dalla madre. Ha vissuto i primi momenti della sua vita in un ambiente rumoroso, soffocante, eccessivamente caldo. Anche Edipo è stato abbandonato dal padre e dalla madre e nella tragedia sappiamo che da grande si vendica uccidendo il padre, mettendo la madre in condizione di uccidersi e poi si acceca. Novecento invece si vendica essenzialmente su se stesso rifiutandosi di accogliere la vita e di nascere al suo talento, all’amore, alla vita. Lui, anche se è così dotato come pianista, non vorrà mai spiccare il volo, sarà sempre trattenuto da quella nave e la sua vita resterà un sogno irrealizzato. Non “nascerà” mai. Neanche l’amore per una donna e la possibilità di una vita con lei lo aiuteranno a scendere da quella nave. E’ vero, è arrivato al mondo senza accoglienza ed ha subito un trauma, la vita gli ha fatto un torto, ma è anche vero che ha ricevuto molti doni, nessuno di loro è stato sufficiente per dargli la spinta ad alimentare il desiderio di esserci, di rischiare, di dire: “ne vale la pena”.

Ha scelto la vita conosciuta in quella nave, le leggi di quella nave, la sicurezza di quell’utero, ma ognuno di noi affrontando situazioni nuove, persone nuove entra in un altro mondo, nel diverso, è un rischio che ogni volta si sceglie o no di correre. Ogni cosa nella vita ha un suo tempo e un suo luogo, nove mesi di vita intrauterina sono necessari perché il feto si sviluppi, dopo i quali l’utero diventa una tomba. La scelta di restare sulla nave fino alla sua demolizione può essere letta come il bisogno per Novecento di fortificarsi prima della separazione, ma la separazione dalla nave, dalla madre, va fatta e restare vuol dire uccidersi. Infatti come si deve interpretare la decisione di Novecento di rimanere sulla nave nonostante la dinamite? E che cosa rappresenta la dinamite ? Per noi la dinamite è l’odio profondo che Novecento prova nei confronti di se stesso e della madre. L’odio che prova è così forte e la sua decisione così radicata che non verrà modificata dall’insistenza dell’amico trombettista che lo spinge verso i suoi sogni. L’Io-Persona è un artista in continuo dialogo con il Sé che è il nostro artista interiore. Novecento è un pianista, è un artista ed anche il trombettista è un altro artista. L’Io-Persona può entrare in dialogo creativo con il Sé o con il progetto di vendetta. Novecento sceglierà la vendetta e non nascerà. Con la sua teomania Novecento cercerà d’appartenere solo a se stesso, ma i nostri talenti, i nostri doni non appartengono a noi soltanto, sono un patrimonio del mondo intero ed è un nostro diritto, ma anche un nostro dovere donare noi stessi al mondo. Tutto il dolore, la violenza, l’atrocità non possono giustificare la non vita.

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