I Quattro Alibi ricorrenti del Cliente che non vuole trasformarsi

Vademecum per il Counselor Antropologo Cosmoartista

Gli alibi. Ho già parlato altrove delle resistenze al cambiamento e di quanto è difficile per ognuno di noi abbandonare l’isola delle certezze assolute per imparare a navigare in mare aperto. Nel lavoro di Counseling con il metodo dell’Antropologia Cosmoartistica vi sono tuttavia alcuni “modelli di resistenza” che si presentano con una certa frequenza e ripetitività, e penso sia bene per un Counselor Antropologo Cosmoartista imparare a conoscerli per snidarli dentro di sé, quando si presentano, e aiutare il vostro Cliente a fare altrettanto. Si tratta di una piccola lista di alibi ricorrenti, spesso variamente e ampollosamente declinati, ma che nella loro forma essenziale possono quasi sempre essere ricondotti a questi quattro punti fondamentali. Voglio precisare che gli alibi sono qui osservati soltanto dal punto di vista di rappresentanti della resistenza al cambiamento: quindi non voglio sostenere che alcuni di essi non possano veramente essere presenti. Giusto per fare un esempio: il Cliente “che non ha tempo” (alibi numero due), potrebbe realmente essere un individuo molto indaffarato. Ma quello che qui vado ad esaminare è l’utilizzo che il Cliente fa di questa sua scelta esistenziale (quella di essere molto indaffarato) come leva per sostenere l’impossibilità del suo cambiamento.

Presento qui di seguito gli Alibi ricorrenti in una sorta di graduatoria crescente. Vale a dire che, se aiutate il vostro Cliente a smascherare l’alibi numero uno, a comprendere che si tratta appunto di una resistenza al cambiamento, è molto probabile che – la paura di crescere – potrebbe suggerirgli di aggrapparsi al punto successivo in graduatoria. L’obiettivo (dell’Io Fetale del Cliente) è sempre di dimostrare al Counselor Antropologo Cosmoartista (e più profondamente a se stesso) di non essere in grado di fare dei cambiamenti.

I quattro punti mostrati sotto si presentano talvolta in modo singolo, uno per volta. Ma in altri casi, con alcuni Clienti, in una sommatoria dall’effetto moltiplicatorio, potenziandosi e rafforzandosi l’uno con l’altro.

Ognuno dei punti esposti richiede – per essere smascherato – una sempre maggior forza e una sempre maggiore dose di coraggio, sia da parte del Professionista che da parte del Cliente. Forza e coraggio sia per guardare in faccia la Verità, ma anche per andare sempre più in profondità al fine di conquistare una maggiore Libertà.

Gli alibi ricorrenti – in senso crescente – sono:
1) Non ho bisogno.
2) Non ho tempo.
3) Non ho soldi.
4) Sono malato.

Alibi numero uno

Cominciamo dal primo. “Non ho bisogno di aiuto, non ho bisogno di fare Counseling. A che serve veramente?” Di solito a questo livello, i problemi del Cliente sono molto ancorati alla realtà tangibile. Il percorso di Counseling appare come un orpello marginale e superfluo, mentre i problemi veri sono ovviamente quelli con il partner, i figli, l’ufficio, ecc. E’ questa una fase in cui il Cliente presenta una scissione tra realtà esterna (percepita come vera e concreta) con la realtà interna (percepita al contrario come evanescente e impalpabile).

Detto in poche parole: il Cliente ostenta o sostiene una felicità interiore, macchiata purtroppo – solo esternamente – da problemi concreti. Le due realtà sono totalmente scisse e il Cliente non percepisce nessun collegamento tra loro. Affermare di non avere bisogno di aiuto sancisce inoltre la negazione del problema e soprattutto rinforza la rimozione e la negazione del dolore. Ovviamente, più si rimuove il dolore, più si ottiene l’effetto di rinforzare l’idea di non aver bisogno di aiuto. Una declinazione leggermente diversa dell’alibi numero uno, tipico stavolta delle persone che hanno memoria di cambiamenti già avvenuti e di coloro che hanno fatto un percorso di trasformazione è: “Non ho più bisogno di aiuto. Prima, forse. Ma ora non ho più bisogno. Ho capito abbastanza, forse addirittura ho capito tutto. Sono un individuo risolto!”. Talvolta però il dolore diventa difficile da negare (per una separazione, un lutto, un licenziamento o un altro evento doloroso), allora il Cliente che non vuole affrontare il cambiamento, potrebbe passare all’alibi numero due: “Non ho tempo”.

Alibi numero due

La vita frenetica e i mille impegni quotidiani appaiono una realtà incontestabile. Ognuno degli impegni è rigidamente e solidamente motivato, affinché nessuno di essi possa vacillare. Gli alibi fondati sugli impegni di tempo trovano spesso la loro motivazione nei sensi di colpa sottostanti all’esercizio del proprio dovere. “Lavoro per pagare il mutuo”, “Non posso lasciare i miei figli da soli”, “Devo preparare la cena a mio marito”. Il Cliente sta tentando di somministrarvi l’idea che la vita non gli appartiene veramente, che egli non ha nessun potere di gestirla, e che – purtroppo – deve sottostare ad una serie di doveri e di obblighi urgenti, improrogabili e incalzanti. Con l’alibi numero due comincia già timidamente ad affacciarsi un elemento importante, ma che tuttavia si esprimerà al massimo del suo fulgore con l’alibi numero quattro: il vittimismo. Ma procediamo con ordine. La menzogna esistenziale del Cliente “che non ha tempo” è quindi che lui vorrebbe cambiare ma non può. Questo Cliente è già un passo avanti rispetto a quello che nega e rimuove il proprio dolore, ma tuttavia sostiene di essere vittima di una volontà più forte della sua, e quindi impossibilitato a fare dei cambiamenti, che pure – in cuor suo – vorrebbe.

Se il Counselor Antropologo Cosmoartista trova una breccia, e aiuta il Cliente a lavorare sui suoi sensi di colpa, sulla sua difficoltà a prendersi la sua vita, a prendersi degli spazi, che se li merita, che non deve per forza soffrire ed espiare in continuazione, allora il Cliente che non vuole affrontare il cambiamento potrebbe passare all’alibi numero tre: “Non ho soldi”.

Alibi numero tre

Con l’alibi numero tre il gioco si fa duro e una delle frasi più ricorrenti (… un giorno o l’altro la registro alla SIAE) è: “C’è la crisi!”. Bum! Prova a dimostrarmi il contrario! “Non posso certo pagarmi un percorso di Counseling Cosmoartistico. Figurati!”. A questo punto il vostro Cliente ha una tale copiosa documentazione a sostegno della propria tesi, che la dose di coraggio del Professionista deve essere almeno altrettanta. Giornali, telegiornali, social network, aneddoti e luoghi comuni rendono la tesi apparentemente inattaccabile. Il Cliente vi sta propinando un’altra – ulteriore – versione del vecchio adagio “vorrei ma non posso (… perché andrei in rovina)”. La menzogna esistenziale del Cliente “che non ha soldi” è che non può permettersi di stare bene, non se lo merita, non può concedersi di investire su se stesso perché ci sono cose molto più importanti che hanno la precedenza.

Il Cliente “che non ha soldi” è soffocato da una bassa autostima, si mette sempre all’ultimo posto, e soprattutto è schiacciato da profondissima svalutazione di se stesso. Potete sostenere il vostro Cliente aiutandolo a costruire degli argini al suo senso di colpa e lavorare sulla sua colpa reale (quella di non ascoltare il suo Sè). Con i Clienti avanzati, quelli che magari lavorano con voi da qualche tempo, e che magari in modo ricorrente “non hanno soldi” (o meglio vanno in crisi per i sensi di colpa di investire su se stessi, quando invece profondamente pensano di non meritarselo, perché si sentono troppo cattivi) allora potete usare una leva efficace che spesso materializza la menzogna e la fa uscire allo scoperto: offritegli di non pagare. Se – ad esempio – stanno facendo un corso di formazione, proponetegli una borsa di studio oppure di partecipare gratuitamente. Anche se pare assurdo e inverosimile, pur di fronte ad un’offerta del genere, vi assicuro che molti rifiuteranno. E anche i Clienti più smaliziati, quelli che si illudono di approfittare di una situazione apparentemente vantaggiosa, a poco a poco, se non vogliono affrontare il cambiamento, potrebbero passare (anche con una certa convinzione) all’alibi numero quattro: “Sono malato”.

Alibi numero quattro

Con l’alibi numero quattro siamo giunti alla vetta della menzogna esistenziale. Il Cliente che non vuole affrontare il cambiamento – in modo surrettizio – vi sta sventolando sotto il naso l’ultima carta che gli è rimasta da giocare: l’angoscia di morte. Il vecchio adagio del “vorrei ma non posso” ha assunto ora la sua forma espressiva più sublime, quella del vittimismo aperto e dichiarato. Il Cliente che non vuole trasformarsi vi sta lanciando un avvertimento, lasciando intravedere un’insidia, una minaccia: “se cambio, se mi trasformo, potrei ammalarmi, potrei perfino morire!”. Il Cliente “malato” è il più ostico tra tutti. È quello che vi dice “Attento! Sono molto fragile e se spingiamo troppo sull’acceleratore, allora saranno guai”. Insomma, tra i quattro è quello che ha più paura in assoluto ed ha assunto un alibi altrettanto perentorio. Non sempre il Cliente “malato” è malato davvero. Però non manca di sottolinearvi la sua estrema gracilità e insicurezza, che non appena fa una cosa, subito si sente male, si sente sopraffatto, senza fiato, forse ha pure qualche linea di febbre oppure – meglio! – una cardiopatia asintomatica.

Per raggiungere un obiettivo, ha sempre l’impressione di scalare le montagne, e comunque non manca di ostentare il grandissimo sforzo sovrumano che ha dovuto compiere. Dietro l’angolo, acquattato e nascosto, c’è sempre una minaccia di morte, variamente percepita e vagamente descritta: a volte in modo concreto ma tante altre volte in modo fantasioso, ma sempre preoccupante. Vi sta dicendo – tra le righe – che se lo fate “crescere troppo” e poi morirà (o si ammalerà davvero), la colpa ovviamente è vostra – del Counselor. Ci sarebbe qui da aprire l’importante e frequente declinazione della morte (perdita, separazione, divorzio) di qualcun altro, ovvero che se si prosegue nel percorso di crescita ci sarà un perdita non diretta e personale, ma riferita ad una persona cara. Ma non ho tempo qui di esplorare questa ulteriore diramazione – tutto sommato – della stessa menzogna esistenziale.

In ogni caso, minacciare un altro di essere i colpevoli della morte (propria o altrui, o separazione o divorzio, o licenziamento, ecc.) è davvero una strategia subdola e potente, l’ultima chance, l’estremo tentativo dell’Io Fetale del Cliente per dire “Ti prego, non mi fare crescere, non mi fare cambiare, voglio rimanere con le mie paure, con le mie bruttezze. È vero, non le sopporto, ma ci sono taaaanto affezionato!”.

Questa breve lista è stata descritta in modo estremamente sintetico, perché per raccontare le migliaia di declinazioni e coniugazioni della paura di crescere forse non basterebbe un intero libro.

Il sistema più efficace che ho trovato per aiutare i miei Clienti a crescere, a smascherare le loro menzogne esistenziali è stato quello di smascherare le mie. La ricerca delle mie Verità ha quindi richiesto moltissimo tempo e tanta forza. E tanto è stato il coraggio per affrontare le mie paure e per conquistare le mie Libertà di oggi. Non solo affrontarle: ma poi è stato anche duro dovermene separare. Mi affezionavo molto alle mie paure, e lasciarle andare era come morire una seconda volta. La spinta a “voler stare bene”, ad avere una “migliore qualità della vita” non è sufficiente per affrontare questo tipo di viaggio. Per me è stato anche necessario fidarmi del mio progetto interiore, della visione che a tratti mi appariva davanti agli occhi. È stato necessario anche tanto Amore: è servito per guardarmi dentro e mantenere fisso lo sguardo alla ricerca della Bellezza che, a partire anche dai miei limiti, dovevo imparare a creare.

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