Il Perfezionismo è la più crudele delle prigioni interiori

Essere Dio è stata una delle mie prime aspirazioni, e se dovessi valutarmi secondo quei parametri, confesso di non essere ancora riuscito in quell’obiettivo. Essere come Dio significava che gli altri avrebbero dovuto fare ed essere ciò che io pensavo fosse giusto fare o essere; significava anche che gli eventi della vita avrebbero dovuto seguire la direzione che io pensavo fosse giusta. Significava anche arrabbiarmi tutte le volte che questo non si verificava. E ciò accadeva molto spesso. Penso che ciò accadesse perchè avevo molto da imparare, e ancora oggi mi accorgo quanto ancora posso apprendere sulla Vita e sull’Amore.

Se oggi posso affermare di aver imparato qualcosa, è certamente perchè ho fatto molti errori. È stato un cammino lungo e impegnativo che mi ha permesso di esplorare e scoprire nuovi universi mai immaginati prima. Mi ha aiutato a comprendere che se fossimo come Dio – perfetti – non avremmo nulla da imparare. Ho anche capito che la perfezione, o meglio il perfezionismo, non fa guadagnare neppure una briciola d’amore in più. Anzi, se possibile, la fa perdere. È come una promessa d’amore che però in realtà si rivela una truffa, un imbroglio. Essere perfetti non ci fa sentire più amati, ma semmai più distanti e incompresi. Il perfezionismo è una prigione della materia e non ha nulla di divino. È figlio del giudice interiore che non riesce a perdonare nessuno, neppure se stesso. E perdonare è una fatica immensa. È figlio dell’orgoglio che non riesce ad accettare i propri limiti, è figlio della superbia che pretende di soggiogare la Vita e sottometterla al proprio servizio. È figlio dell’avidità di divorare tutto e tutti per riempire i propri vuoti, il proprio narcisismo e la propria vanità.

Uscire dalla prigione del perfezionismo è come fare un piano di fuga da Alcatraz. Solo che i passaggi non sono materiali, ma esistenziali. Quello che segue è il mio piano.

1)Lascia perdere! Comincio con un punto che sembra tra i più semplici, ovvi, banali e naturalmente, facili. Ma pensateci bene: è veramente così facile “lasciar perdere”? Ogni volta che ci penso, mi viene in mente quel famoso lampione sul Ponte Milvio a Roma, dove una montagna di lucchetti, catenacci e chiavistelli sono inchiavardati l’uno sull’altro. Un ammasso di ferro e acciaio massiccio del peso di diversi quintali. E quale simbolo migliore di un lucchetto per rappresentare una prigione? “Lasciar perdere” di fronte ad un torto, reale o immaginario, è davvero un lusso che pochissimi sanno permettersi. “Lasciar perdere” significa non lasciarsi incatenare, significa rimanere liberi, affermare con forza e straordinario coraggio, la propria libertà. Ogni volta che invece “non lasciamo perdere”, aggiungiamo un lucchetto alla nostra montagna interiore di chiavistelli di tutte le cose che ci siamo legati al dito, degli eventi che ci hanno ferito, delle situazioni in cui abbiamo subito un torto e richiediamo (o pretendiamo) una giusta vendetta. E rimaniamo in attesa, in lunga attesa, di quell’evento o persona magica, che finalmente comprenderà i tanti oltraggi che abbiamo subito, vendicherà i soprusi, e ci porterà sotto l’arco del meritato trionfo e dell’agognata gloria. Tutto questo è follia e porta verso la morte. Prova invece a “lasciar perdere”, impara ad “essere leggero”!

2)Perdonati! Talvolta è più facile perdonare gli altri piuttosto che se stessi. Perdonare se stessi è come scalare una montagna impervia. Sono necessarie tenacia, forza e straordinario coraggio. Siamo talmente abituati a condannarci, a punirci per le nostre fragilità, a espiare le colpe reali e immaginarie, a rimproverarci per i nostri limiti e per le tante cose che non sappiamo fare, che la sola idea di poterci perdonare è davvero lontanissima. Vivere sotto un costante senso di colpa è più di una consuetudine: è un vizio a cui siamo assuefatti, un’ossessione che ci rende dipendenti, una mania che diventa tradizione, pratica quotidiana, routine giornaliera. Il senso di colpa è un abito a cui difficilmente sappiamo rinunciare. Ci veste e ci fornisce la sgradita dignità del vittimismo, dell’auto-sabotaggio e dell’autocommiserazione. Qualsiasi colpa va bene al nostro giudice interiore: sia colpe socialmente riconosciute, sia quelle inventate dalla follia del nostro perfezionismo. Ricominciare ad amarsi, ritornare ad amare se stessi dopo aver commesso una colpa, aver manifestato un limite o aver rivelato una propria fragilità è un compito arduo. Tornare a darsi il diritto di essere felice è davvero una conquista. Accettati così come sei. Mandiamo in pensione il giudice interiore. Dopo tanto (certamente intensissimo) lavoro se lo è sicuramente meritato.

3)Sii grato alla vita. Ringraziare è un modo meraviglioso per andare verso la vita. Il senso di gratitudine è l’inequivocabile segnale di ‘Pieno’: è il migliore indicatore della vittoria sull’avidità di avere e di possedere. “Ringraziare” significa riconoscere di aver già ricevuto tantissimo, significa sancire ed affermare che siamo nati in un universo che ci ha voluti, ci ha desiderati, ci ha amati. Quando il mostro del perfezionismo si avvicina, proviamo a pensare alle migliaia di cose che abbiamo e di cui essere grati. A cominciare dall’amore dei nostri cari, agli affetti, agli amici che non vedono l’ora di poterci amare più liberamente. Per non parlare poi del cibo sulla nostra tavola, del tetto sulla nostra testa e del comodo letto sul quale riposiamo. Il senso di gratitudine ci permette di armonizzare noi stessi con la ricchezza e l’abbondanza dell’universo, ci permette di sintonizzarci con i miracoli che attendono ancora di rivelarsi e con le opportunità che la nostra esistenza desidera mettere a nostra disposizione. Essere grati ci aiuta anche a accordarci ancora più profondamente con il nostro progetto esistenziale, con la nostra missione spirituale, con il sacro compito che dà senso e significato alla nostra vita su questa Terra.

4)La vita è fonte di gioia. Questa è l’ultima soglia da oltrepassare, l’ultimo muro da scavalcare, l’ultimo tunnel della prigione da attraversare. Ogni singola cellula del nostro corpo vive e lavora dentro un universo immenso, composto da miliardi e miliardi di altre cellule di tutte le forme e dimensioni. Enormi ammassi cellulari convivono accanto ad altre galassie organiche dalle funzioni più curiose e misteriose. Costellazioni di eritrociti percorrono orbite iperboliche accanto a sterminate nebulose viscerali. Un cosmo vasto e smisurato, se osservato dal punto di vista di una singola cellula. Eppure quella piccola, singola cellula è talmente importante che la sua sofferenza può innescare un “effetto dòmino” in grado di distruggere l’intero organismo. Ogni singolo essere umano è talmente importante che i suoi pensieri, positivi o negativi, influenzano e condizionano l’intero universo.

Così come ogni singola cellula si nutre d’amore e di gioia, anche ogni singolo essere umano si nutre d’amore e di gioia. Il cibo dà sostentamento, ma sono l’amore e la gioia che permettono la vita e l’esistenza. La rabbia, la paura, la frustrazione, il risentimento, il rancore, l’amarezza sono i veleni che inquinano le nostre cellule e la nostra vita. Scegliere di vivere immersi in una fonte di gioia continua significa guarire i nostri mostri interiori, significa uscire dalla prigione e svolgere il nostro compito nell’universo. È così che possiamo finalmente sentirci partecipi di un ‘tutto’ che innalza il nostro spirito e ci permette di essere parte armonica di un disegno d’amore divino.

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